"Lo schiaccianoci" al Teatro Duse
Il 26 e 27 dicembre 2015 al Teatro Duse di Bologna "Lo Schiaccianoci".
Racconto di formazione e meraviglioso balletto sulle musiche di Pëtr Il’i? ?ajkovskij, Lo Schiaccianoci è la trasposizione danzata della più tradizionale e amata delle narrazioni natalizie. Tra luci e oscurità, sorrisi e sospiri, giochi e battaglie, i danzatori del Balletto di Roma e il coreografo Mario Piazza giocano con gli aspetti sconosciuti di una favola antica che non smette di incantare i sognatori moderni.
In questa originale versione del Balletto di Roma, scompaiono i fronzoli di natali spensierati tra i muri pieni degli schizzi di un’alienazione in corso e le televisioni accese su una virtualità d’inganno e solitudine adolescenziale. L’aura di timore e mistero del vecchio Drosselmeyer si impossesserà di uno Schiaccianoci di sospetta natura che diverrà per la giovane Clara lo specchio di un’inquietudine sconosciuta e la manifestazione di sconvolgenti paure. Il salto tormentato dall’infanzia all’adolescenza diverrà prima vertiginosa caduta nel vuoto, poi volo tra incubi e fantasie fanciullesche e infine placido atterraggio nel nuovo mondo dell’età adulta tra vecchi sogni e nuove certezze.
Luogo di mezzo tra reale e virtuale, immaginazione e risveglio, la scenografia realizzata da Giuseppina Maurizi segue l’evoluzione drammaturgica di una storia che viaggia tra paesaggi di mondi sognati e stati psicologici differenti. Con brevi gestualità, sincronizzati movimenti di gruppo e assoli esilaranti (Fata Confetto en travesti), nel pieno rispetto della partitura di ?ajkovskij, la danza di Mario Piazza insegue il crescendo di trama e musica tra coinvolgenti passi a due e originalissime danze dal mondo.
Ospite d’eccezione, Andrè De La Roche torna sul palcoscenico nel doppio ruolo di Schiaccianoci e Fata Confetto, regalando ancora una volta al pubblico la presenza scenica sicura, commovente e divertente di un artista esperto.
“Lo Schiaccianoci è divenuto, in un tempo relativamente breve (il debutto in Italia avviene nel 1938) un balletto popolarissimo, spesso usato – e abusato – come una sorta di ‘strenna’ natalizia, una specie di fiaba gioiosa dedicata all’infanzia. In realtà, Lo Schiaccianoci (a partire dal sulfureo, inquietante racconto di E.T.A. Hoffmann) è semmai dedicato, verrebbe da dire, alla ‘tragedia’ dell’infanzia, ovvero al doloroso e traumatico atto del crescere, al difficoltoso abbandono del mondo dei giochi e delle sicurezze familiari, al superamento di quella sfumata ‘linea d’ombra’ che segna il passaggio verso le tortuosità dell’adolescenza. Adottando l’andamento e gli espedienti del thriller e coniugandoli con il linguaggio della danza contemporanea, Lo Schiaccianoci – con la sua dilatazione mostruosa della dimensione domestica, le sue mini-battaglie, la violenza e l’orrore sottesi in tutta la narrazione – si presta a farsi specchio fedele e inquietante delle generazioni odierne, precocemente private dell’infanzia (e quindi del diritto all’innocenza) dall’invadente, ossessiva e indiscriminata informazione dei media che hanno ormai trasformato la guerra e ogni altra violenza in ‘spettacolo’ da guardare con distratta indifferenza in qualsiasi momento della giornata.
In questa nuova versione, dove spesso situazioni e psicologie vengono letteralmente ribaltate, Lo Schiaccianoci – qui una sorta di inquietante alter ego di Drosselmeyer, quasi un Mr. Hyde – diviene il grumo di tutti gli incubi della piccola Clara, sinistro personaggio capace di assassinare il fratellino Fritz o di trasformarsi in una felliniana Fata Confetto (simbolo dell’ingannevole ‘dolcezza’ dei malvagi). Passando di spavento in spavento, Clara, novella Alice con un ‘in più’ di sbigottito candore, si desterà quando ormai l’incubo sembra schiacciarla senza più scampo: ritroverà i suoi cari, ma vedendoli ormai con occhi diversi; gli occhi di chi – forse ancora confusamente – comincia a intuire che da quegli affetti bisognerà imparare a distaccarsi e a fare da soli. Il tutto narrato secondo le regole e i ‘tranelli’ degli odierni giochi tecnologici: il sogno si sfrangia nell’incubo di un atroce videogame che ingloba e imprigiona la protagonista, annullando ogni confine tra concretezza reale e illusione virtuale, dove non sono più tanto i giocattoli a prendere vita, bensì il giocatore stesso a essere orribilmente trasformato in futile pedina. Ogni possibile ‘riscatto’ andrà dunque cercato secondo tali regole, ma al tempo stesso (ricordiamoci che si tratta di una fiaba e tale deve restare) con i mezzi da sempre a disposizione di ogni creatura umana, ovvero la fede in se stessi e nella nostra parte migliore, uniche vere ‘armi’ per affrontare lo spinoso cammino degli adulti, all’ardua conquista della propria porzione di felicità”.