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Morte di George Floyd, Gualmini: "Razzismo tratto dominante della cultura americana"

Una lunga riflessione della ex vicepresidente della Regione e oggi eurodeputata sulla morte dell'afroamericano a Minneapolis

“Nascere nero in America è un crimine, ripete più volte un manifestante ai microfoni di un operatore della CNN, nei giorni lunghi di protesta a Minneapolis per la morte orrenda di George Floyd, ad opera di un poliziotto bianco. Un operatore della CNN che almeno non è stato ammanettato dalla polizia, come invece è successo al collega ispanico (con la pelle scura, per inciso) in diretta TV". Così Elisabetta Gualmini, ex vicepresidente della Regione Emilia-Romagna e da luglio 2019 eurodeputata nei Socialisti Democratici, sul sito "Immagina.eu". 

"La lista degli afroamericani uccisi da poliziotti bianchi, senza motivo, è sempre più lunga, in una escalation di ferocia e brutalità che non si usa nemmeno con le bestie più schifose Derek Chauvin, l’agente killer, ci ha offerto uno spettacolo mostruoso - scrive Gualmini - schiaccia con il ginocchio il collo di George per 9 minuti, con le mani in tasca e lo sguardo tronfio, strabordante razzismo e impunità, incurante dell’urlo disperato della vittima (Non posso respirare), davanti a tre colleghi che osservano come se fosse la cosa più naturale del mondo. Diciamo allora le cose come stanno. Il razzismo è un tratto dominante della cultura americana, un fiume carsico che scorre sotterraneo e che ogni tanto torna in superficie, ma quando la politica lo incita, lo alimenta e gli offre una platea quel sentimento dilaga, senza limiti, con una violenza brutale".

Per l'eurodeputata "c’è un nesso tra il nazionalismo populista e il razzismo. Il populismo, portato agli estremi, si regge sull’idea del popolo-nazione; il popolo puro e concepito come un tutt’uno, un insieme omologato e indistinto di persone che si riconoscono le une con le altre sulla base di caratteristiche etniche precise. Lo straniero è l’eretico, che va ripudiato, eliminato. D’altro canto, gli Stati Uniti sono la patria del nativismo, della difesa del popolo nativo (i discendenti dalle 13 Colonie) contro tutti gli altri. Contro i cattolici irlandesi nell’800, contro i tedeschi e poi gli italiani nei primi decenni del XX secolo, contro gli ebrei e infine costantemente contro gli Afroamericani e gli ispanici".

E ne ha anche per Trump: "E' l’interprete eccellente di questi (ri)sentimenti, arrivato alla Casa Bianca grazie alla spinta e alla rabbia dei bianchi della classe media, che non hanno digerito gli otto anni di un nero al comando. Trump ne approfitta: non ha mai condannato apertamente il razzismo, né le manifestazioni della destra suprematista, ricorre costantemente al vocabolario più becero della segregazione e del razzismo: come quando dice “Quando arrivano i saccheggi arrivano gli spari”, riecheggiando il discorso di un poliziotto di Miami del 1967, famoso per i suoi metodi razzisti o quando cita i cani da mandare contro i manifestanti. Ogni giorno aumenta il livello delle aggressioni verbali, pensando di mettere in gabbia anche i social network ostili. D’altro canto, era lui che consigliava al suo staff in campagna elettorale di mettere in scena ogni giorno una guerra contro un nemico, spargere sangue e vincere. Il nemico di ieri era l’ANTIFA, l’organizzazione antifascista della sinistra radicale, oggi vediamo. Usando i bianchi contro i neri, i buoni contro i cattivi, la destra contro la sinistra, Trump tiene alto il livello dello scontro e spera di distogliere il paese dalla disastrosa gestione della pandemia che conta ormai oltre 100 mila morti. Sapremo in novembre come tutto questo finirà. Nel frattempo, però, i genitori dei bambini afroamericani continuano a fare il lavaggio del cervello ai loro figli suggerendo di non replicare o mettersi di traverso in nessun modo alla polizia e raccontano di scegliere nomi tipicamente “bianchi” per evitare che i propri figli almeno quando non li si vede, sulla carta, non vengano discriminati a priori. Costretti a vivere in un paese in cui bisogna scrivere sui cartelli che le vite nere contano e sperando di non essere i prossimi ad essere ammazzati per strada". 

La ricostruzione 

La sera del 25 maggio George Floyd, 46 anni, viene fermato dalla polizia: é sospettato di aver tentato di utilizzare una banconota falsa. Il video che ha fatto il giro del mondo inizia quando l’uomo è già a terra con l’agente Derek Chauvin che lo tiene bloccato premendogli  il ginocchio sul collo, nonostante Floyd continuasse a ripetere "I can't breathe", non riesco a respirare, la frase che ormai risuona in tutte le manifestazioni che stanno incendiando gli Usa in questi giorni. Morirà pochi minuti dopo per asfissia, come avrebbe stabilito un primo esame autoptico. 

Secondo gli agenti, l'uomo avrebbe opposto resistenza, poi si è parlato di “incidente medico”. Le indagini sono state affidate all'FBI. 

George Floyd sarebbe uno dei milioni di americani rimasto disoccupato a causa dell'emergenza sanitaria. Da alcuni anni viveva a Minneapolis ed era stato in prigione per furto. Chiamato "Big Floyd", era originario del North Carolina, poi si era trasferito in Texas, a Houston. Era separato, aveva una nuova compagna ed era padre di una bimba di 6 anni. 

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