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Scarano e gli altri: le Lega perde pezzi, ma Salvini resta in sella

La ex capogruppo leghista al Comune di Bologna non è la prima a contestare la linea del leader del Carroccio. Ma la leadership di Salvini sembra inattaccabile

Lo scorso 26 gennaio la testata specializzata in fact-checking Pagella Politica aveva sbugiardato il leader della Lega Matteo Salvini che, ospite al programma Otto e mezzo su La7, aveva affermato che i sondaggi post politiche del 25 settembre vedevano il suo partito in crescita. Pagella Politica, riportando uno studio dell’agenzia YouTrend, sottolineava come il Carroccio fosse calato di mezzo punto percentuale in pochi mesi. Non una grande perdita, certo, ma a corredo di questo dato sono arrivate le elezioni regionali in Lazio e Lombardia: qui la Lega, rispetto al 2018, ha perso 1,2 milioni di voti, la maggior parte dei quali confluiti nelle preferenze a Fratelli d’Italia. 

La gestione del partito e della sua comunicazione da parte di Salvini è stata spesso oggetto di critica anche dall’interno del partito. La ex capogruppo al Consiglio Comunale di Bologna Francesca Scarano ha lasciato la Lega con parole forti, definendo il partito come “verticistico” e “poco concreto”: “Sto accusando una mancanza di progettualità condivisa e a lungo periodo, sono stanca di alcuni modi di fare e di slogan” aveva confessato alla stampa presente.

Proprio in occasione della conferenza stampa a Palazzo d’Accursio non erano mancati altri attacchi alla Lega: “Non ci riconosciamo più nell’azione della Lega – aveva tuonato Vincenzo Menna, consigliere leghista al quartiere Navile –. Ormai facciamo dichiarazioni ai giornali su azioni che poi non vengono intraprese, come ad esempio per la metro o per l’allargamento della tangenziale, tutti cavalli di battaglia portati in consiglio dalla Lega. Questi temi hanno risonanza sui giornali ma non nelle azioni reali. In questo modo, eccellenze del territorio come Scarano sono costrette a lasciare l’apparato Lega. Scarano ha aperto una pagina che da molto tempo viene aperta e richiusa all’interno della Lega”.

Quale Lega

Per parlare del partito della Lega è bene però approfondire la sua natura. Un approfondimento dell’Università Luiss di Roma segnalava, nel 2018, come la Lega sia in realtà una struttura piuttosto complessa. La Lega Nord, quella fondata nel 1991 e che nel suo simbolo riporta Alberto da Giussano – figura tra storia e leggenda che avrebbe partecipato alla battaglia di Legnano del 1176 – esiste ancora, ma nei documenti rintracciabili sul sito del Ministero dell’Interno, la Lega votata dai suoi elettori riporta la denominazione di “Lega per Salvini Premier”. La sua creazione, come riportato nell’approfondimento dell’università romana, è stata una conseguenza della famosa vicenda dei 49 milioni di euro. Le due strutture, la Lega Nord e la Lega per Salvini Premier, di fatto oggi coesistono. I vecchi circoli dell’una vivono nei post su Facebook dell’altra e viceversa, portando con sé tutte le contraddizioni di un partito, il più antico tra quelli attualmente rappresentati in Parlamento, nato secessionista e diventato nazionalista.

Il ruolo di Salvini

La svolta c’è stata il 4 marzo 2018, giorno delle elezioni politiche: il vincitore assoluto fu il Movimento 5 Stelle con il 32,7% dei voti, ma il vincitore relativo fu senza dubbio la Lega che, dal 4,1% delle politiche del 2013, arrivò ad un incredibile 17,4% dopo appena cinque anni. La Lega era diventata in una manciata di anni la prima forza politica del centro-destra italiano, sotterrando (quasi) definitivamente il ruolo da protagonista di Silvio Berlusconi e del suo partito Forza Italia. Protagonista assoluto di questa scalata fu senza dubbio Matteo Salvini, vero e unico frontman della Lega. La trasformazione del partito da secessionista a nazionalista è stata però molto discussa prima e dopo quel 4 marzo, una discussione che Salvini poteva ignorare forte dei suoi successi. Ma non tutte le storie hanno un lieto fine. Dall’estate del Papeete, famosa per la decisione dell’allora Ministro dell’Interno di far naufragare il Governo Lega-Movimento 5 Stelle nel tentativo di andare al voto, le orecchie di Salvini hanno cominciato a fischiare in maniera sempre più fragorosa. In diversi, dall’interno della Lega, hanno provato a mettere in discussione la sua leadership. Alcuni silenziosamente, come il governatore del Veneto Luca Zaia, altri in maniera più eclatante, come Bossi e Maroni. Nessuno è mai riuscito realmente ad intaccare la sovranità di Salvini, ma qualche scricchiolio di fondo continua a persistere.

Presente e futuro

Il banco di prova dello scorso 25 settembre ha restituito agli elettori della Lega un’immagine sbiadita della forza e dell’opulenza di un partito che, alle europee del 2019, aveva superato il 34% di voti. Alle ultime elezioni politiche, la Lega ha preso solo l’8,9% di voti, e soprattutto ha dovuto ingoiare un boccone molto amaro: quello di non essere più la forza trainante della destra italiana. All’ennesima prova fallita da parte di Salvini, le voci dei dissidenti interni hanno ricominciato a farsi sentire. Quello di Scarano non è infatti l’unico addio in casa Lega. Più rumoroso è stato quello di quattro consiglieri lombardi che, in vista delle elezioni regionali, hanno abbandonato il Carroccio per fondare la lista Comitato Nord. Il benestare è arrivato da Umberto Bossi, lo storico fondatore della Lega che con Salvini ha avuto più volte a che dire. L’ultima in ordine temporale è datata dicembre 2022, quando il Senatùr diceva: “Salvini non mi parla più, è un bambino”. I risultati delle elezioni lombarde hanno dato ancora una volta ragione al segretario, ma è un fatto che dal 2019 in poi le percentuali della Lega sono in caduta libera. L’addio di amministratori ed esponenti locali, come Scarano, sono un segnale piuttosto chiaro, ma al momento Salvini sembra non voler affrontare il problema: “Occupatevi di cose serie” aveva consigliato ai giornalisti che lo scorso 23 dicembre, a Milano, chiedevano conto dei quattro dissidenti poi espulsi dal partito. Intanto, però, le defezioni continuano, e al momento Salvini sembra non avere gli strumenti per invertire la tendenza.

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