"Giorno del ricordo", seduta solenne in Comune: 'Commemorare le vittime delle foibe non basta'
Oggi a Palazzo D'Accursio seduta solenne del Consiglio comunale per commemorare le vittime dei massacri delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata. Lembi: 'Non basta ricordare, trovare valori comuni per costruire una sorta di religione civile"
Oggi, lunedì 10 febbraio,nella sala del Consiglio comunale a Palazzo d'Accursio, seduta solenne del Consiglio comunale per celebrare il Giorno del Ricordo. Una giornata dedicata alla commemorazione delle vittime dei massacri delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata.
Solennità istituita con la legge 30 marzo 2004, al Giorno del ricordo è associato il rilascio di una targa commemorativa, destinata ai parenti degli "infoibati" e delle altre vittime delle persecuzioni, dei massacri e delle deportazioni occorse in Istria, in Dalmazia o nelle province del confine orientale durante l'ultima fase della seconda guerra mondiale e negli anni immediatamente successivi.
A Palazzo D'Accursio la seduta odierna si svolge alla presenza della Presidente Simona Lembi, del Sindaco di Bologna Virginio Merola e del Presidente del Comitato di Bologna dell’A.N.V.G.D, Marino Segnan. Relatore Raoul Pupo, docente di Storia contemporanea dell'Università di Trieste. Alla seduta partecipano gli studenti dell'ITIS Belluzzi-Fioravanti e dell'Istituto Archimede di San Giovanni in Persiceto.
Alla Presidente Simona Lembi il compito di aprire la seduta, "Vorrei ricordare in primo luogo le vittime - ha esordito Lembi - diverse migliaia di persone (tra le 4000 e le 6000 principalmente italiane) che per motivi etnici e o politici persero la vita tra il 1943 e il 1946. Di questi eccidi le foibe sono il simbolo più noto e più grave".
Le vittime delle foibe e i loro cari - ha detto Lembi - "sono vittime due volte: di una grande tragedia originaria e poi dell'oblio di quella tragedia, ma anche dell'essere stati condannati incolpevoli a svolgere un ruolo politico che non loro certo avevano cercato".
Bologna nel 1947 non accolse con favore il treno che portava 700 esuli istriani, fiumani e dalmati in cerca di salvezza in altre zone d'Italia. Ma i cittadini bolognesi seppero poi rapidamente cambiare atteggiamento e accogliere gli esuli, molti dei quali hanno poi scelto Bologna per viverci, loro e i loro cari. "Quello della vicinanza, della memoria condivisa - ha detto la consigliera - e' ciò che ha motivato anche le nostre azioni negli ultimi anni. L'anno scorso abbiamo apposto un “sasso d'Istria” (ritrovato quasi casualmente da Maurizio Cevenini) negli anni precedenti nel Quartiere San Donato. Si trattava della lapide posta all'ingresso di quello che un tempo era il Villaggio Giuliano a Bologna."
Sempre l'anno scorso, il Comune, per mantenere viva la memoria di quei fatti, ha distribuito a tutte le scuole bolognesi un DVD intitolato “Esodo”, fatto in collaborazione con l'Associazione Venezia Giulia Dalmazia, affinché, a partire dalle scuole, fosse meglio insegnata, spiegata e raccontata quella complessa vicenda.
"Non basta esclusivamente la memoria di quei fenomeni luttuosi o dolorosi - si è oggi sottolineato durante la seduta in Comune - Ma a partire da quelli la politica ha un compito: quello di trovare valori comuni per costruire quella che altri hanno chiamato una sorta 'religione civile' e cioè un nucleo di valori condivisi in cui gli individui si riconoscono".
Tra il 1944 e la fine degli anni Cinquanta, alla frontiera orientale d'Italia tra le 270 e le 350.000 persone, nella grande maggioranza italiani, dovettero abbandonare quelle città e quelle terre in cui a lungo loro e le loro famiglie avevano abitato, vale a dire le città di Zara e di Fiume, le isole del Quarnaro - Cherso e Lussino - e la penisola istriana, passate sotto il controllo Jugoslavo. Se si assume un approccio più vasto, come ci invitano più recentemente gli storici a fare e cioè a partire dal 1866 (l'anno in cui l'Italia ottiene il Veneto e si trova per la prima volta sulla soglia dei suoi due irredentismi nord orientali), o se si fa riferimento all'esodo nella più ampia storia istriana oppure, come ci invitava a fare il Professor Pupo ne 'Il lungo esodo', ad evidenziando la scomparsa della componente nazionale italiana nei territori passati alla Iugoslavia, cosa mai accaduta prima, ne' sotto l'impero Austriaco, ne' dopo la prima guerra mondiale, allora quegli eventi ci appaiono in una dimensione completamente diversa.
L'attenzione si sposta quindi sulle conseguenze della costruzione degli stati nazionali e a quanto questo non lasciasse spazio al valore delle minoranze, delle differenze tra singole comunità.