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Pd, la proposta del sindaco Lepore: "Cambi nome, diventi partito del Lavoro"

Prima con una lettera al quotidiano 'La Repubblica' e poi con un intervento pubblicato sui social

Il Pd cambi nome e diventi "Partito Democratico e del Lavoro". A lanciare la proposta di una svolta laburista dei dem è il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, prima con una lettera al quotidiano 'La Repubblica' e poi con un intervento pubblicato sui social.

Scrive il sindaco: "Propongo che il partito al quale sono iscritto cambi nome in 'Partito Democratico e del Lavoro'. Avanzo questa idea come contributo alla discussione costituente e congressuale, augurandomi possa essere colta trasversalmente dai candidati e dalle candidate, dalla platea che sarà chiamata a discutere la nuova carta dei valori e lo statuto. Affiancare al concetto di democrazia quello del lavoro significherebbe meglio determinare cosa gli elettori e le elettrici debbano aspettarsi dalla nostra comunità politica". 

"A questo proposito – continua – la Costituzione della Repubblica italiana è molto chiara al titolo terzo della prima parte, laddove descrive i diritti e i doveri dei cittadini con particolare riferimento ai rapporti economici. 
Quando afferma che il “lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”, dice quasi tutto".

"Non può dirsi pienamente democratico un paese dove il lavoro non sia considerato come leva di emancipazione e autonomia della persona; dove si punti a superare i divari di genere, le discrepanze territoriali e generazionali; un paese dove la scuola pubblica di ogni ordine e grado ritorni a essere preziosa, tanto quanto il diritto alla salute. I nostri padri e madri costituenti immaginarono questi principi alla vigilia della ricostruzione post bellica e del rilancio industriale dell’Italia. Gli investimenti, il lavoro e l’istruzione avrebbero permesso di ricucire le distanze e fare uscire gli italiani dalla povertà. Ora come allora, indicare il punto di vista della democrazia e del lavoro come prevalenti, significa molte cose per un partito. Per prima cosa ne determina il posizionamento, chiarisce dove si colloca nelle alleanze internazionali tanto quanto nel rapporto con la cittadinanza". 

"Attualmente, nel Parlamento italiano nessun gruppo politico si richiama esplicitamente ai temi del lavoro e della democrazia, mentre ne avremmo un estremo bisogno. Al contrario, il PD ha progressivamente depauperato il proprio patrimonio di fiducia, relazioni e consenso con il vasto mondo del lavoro in tutte le sue forme. Siamo sinceri, qualcosa si è rotto qualche anno fa, fino ad arrivare a smarrire quasi completamente un’agenda economica e sociale condivisa e riconoscibile a livello nazionale". 

"È ora di riprendere un sentiero interrotto per recuperare l’astensionismo e il distacco dagli ideali della sinistra. Da emiliano, posso affermare che avere dentro e fuori le istituzioni una cultura politica del lavoro è la migliore garanzia per la promozione di relazioni industriali positive, per l’attrattività degli investimenti, la crescita stessa delle imprese. Nel mondo in cui viviamo, infatti, il deteriorarsi del modello di sviluppo e un nuovo sistema di relazioni internazionali hanno messo seriamente in discussione la qualità delle nostre vite, la pace, i principi democratici e la concezione stessa del lavoro. Come Sindaco di Bologna, inoltre, vedo l’urgenza di essere in prima linea nella lotta al cambiamento climatico e la transizione digitale, ma sento la mancanza di un forte punto di vista progressista. Capace cioè di tenere assieme giustizia sociale e ambientale, diritto alla privacy e tutela delle comunità locali. Quando una fabbrica chiude e delocalizza, quando gli algoritmi annientano la dignità di chi lavora, quando la precarietà i bassi salari mordono si deve sapere da che parte stiamo. Quando le aree interne del paese cercano cura e sostegno, quando l’impresa è soffocata da burocrazia e illegalità, il PD nazionale deve farsi sentire. Non bastano solo i sindaci". 

"Se i divari tra Nord e Sud sono tornati ad allargarsi è anche perché si è preferito rinunciare a condurre un’agenda economica e sociale unitaria, un pensiero industriale complesso e avanzato. Pandemia, guerra in Ucraina e crisi energetica hanno riportato in superficie gli spiriti peggiori della competizione globale. Pur essendo la seconda potenza manifatturiera europea, per la sua scarsa autonomia energetica, l’Italia rischia di perdere intere filiere produttive a favore di altri paesi. La destra che ci governa non ha questi temi in agenda e rema nella direzione opposta a causa delle sue discutibili alleanze. Mettere in rete e unire, dalle Alpi alla Sicilia, in Europa e nel mondo, chi crede nel lavoro e nella democrazia dal basso deve essere invece il nostro compito. Se vogliamo la transizione ecologica, dobbiamo aumentare il numero di occupati nella produzione di beni e servizi ambientali. Se vogliamo ridurre i gap generazionali e di genere, dobbiamo partire dal lavoro. Per regolamentare mercati e sfera digitale, dobbiamo uscire dalla mera azione politica locale". 

"Tre concrete applicazioni di una nuova politica laburista democratica. Capace di nuovo di mobilitare le persone per il bene comune. Ci servono coraggio e idee chiare da cui partire. Oggi, io ne propongo una, sperando possa fare discutere dentro e fuori. Aggiungiamo al nome PD la parola “lavoro”, per affermare chi siamo e dove vogliamo andare. Ritorniamo alla terra e alla vita reale. Inauguriamo un tempo nuovo, ci farà bene. Per le persone, per l’Italia e il suo futuro".

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