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Referendum trivelle, Legambiente: "Ecco perchè votare sì"

Gli ambientalisti sottolineano che "se al referendum vincesse il Sì, la chiusura degli impianti sarebbe graduale e fondata sulla naturale scadenza delle concessioni, percorso che non causerebbe i tanto millantati effetti disastrosi sull'occupazione"

Il referendum sulle trivellazioni è vicino, ma non sono in molti ancora ad avere le idee chiare per il voto del prossimo 17 aprile 2016 (qui tutte le informazioni per andare alle urne): questa consultazione (battezzata referendum "No-Triv") è stata richiesta dalle Regioni italiane ed è stata indetta per dare la possibilità ai cittadini di scegliere se vietare o meno il rinnovo delle concessioni per l'estrazione di gas e petrolio dei giacimenti che distano meno di 12 miglia dalle nostre coste.

Fra coloro che sostengono il SI' molte associazioni ambientaliste. Abbiamo intervistato Giulio Kerschbaumer, direttore di Legambiente Emilia Romagna, per comprendere fino in fondo le ragioni del voto contro il rinnovo delle attività di estrazione, visto anche che la nostra regione è abbondantemente coinvolta, visto il numero degli impianti.

Intanto le chiedo perchè andare alla urne il 17 e da dove/chi/come parte questo referendum?

A settembre 2015 dieci Consigli regionali italiani (Abruzzo, Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna,Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise), hanno presentato ricorso contro il decreto “Sblocca Italia”, proponendo il referendum abrogativo che si andarà a votare il 17 aprile prossimo.

Si tratta di un referendum abrogativo, cioè di uno dei pochi strumenti di democrazia diretta che la Costituzione Italiana prevede per richiedere la cancellazione, in tutto o in parte, di una legge dello Stato. Perché la proposta soggetta a referendum sia approvata occorre che vada a votare almeno il 50% più uno degli aventi diritto al voto e che la maggioranza dei votanti si esprima con un “Sì”.

Chi può votare?

Hanno diritto di votare al referendum tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto la maggiore età. Votando “Sì” i cittadini avranno la possibilità di cancellare la norma sottoposta a referendum. Sarà possibile votare soltanto nella giornata di domenica 17 aprile, dalle ore 7 alle 23, recandosi presso il proprio seggio elettorale nella città di residenza. Per la prima volta nella storia Repubblicana, però, il Governo ha convocato un referendum nella prima domenica disponibile (convocato 40 giorni prima del voto stesso) per mettere i bastoni tra le ruote, riducendone sensibilmente il tempo a disposizione, a una campagna referendaria che evidentemente lo spaventa.

Il sì per dire NO e il no per dire SI: come semplificare la spiagazione del cosa votare?

Essendo un referendum abrogativo, si vota Sì per cancellare la norma, che concede di proseguire le attività di estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia marine, fino al termine del giacimento. Il testo del quesito è il seguente: «Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale?".

Le norma che il Comitato "Vota Sì per fermare le trivelle" chiede di abrogare, è entrata in vigore il primo gennaio 2016. Noi riteniamo che sia una norma illeggittima, perchè per la prima volta in Italia ed in Europa si concede una concessione illimitata sull'uso di un bene pubblico come sono le risorse di idrocarburi, con una norma illeggittima. Tutte le concessioni pubbliche sono infatti a scadenza: dire che i giacimenti sono sfruttabili fino alla loro durata utile, sarebbe come concedere una concessione autostradale fino a che il traffico non sarà finito.

Considerato che i primi 80 milioni di metri cubi di gas estratti annualmente sono esenti da royalties,  quindi "gratuiti" per le compagnie petrolifere, non porre una scadenza alla concessione consentirebbe di estrarre annualmente quantità di gas sotto questa soglia, in modo tale da non versare soldi nelle casse dello stato.
Inoltre, non dare una scadenza alle concessioni, significa cancellare per sempre la fase di dismissione delle piattaforme attualmente in esercizio sotto costa, poichè la fine del giacimento è autocertificata dall'azienda estrattrice...

Quante sono le piattaforme che distano meno di 12 miglia dalla costa in Emilia Romagna? Sono così numerose ma non sembra che la nostra regione (e forse i nostri politici?) sia così interessata a fare informazione..

Entro le 12 miglia, lungo le coste dell’Emilia Romagna ci sono ad oggi 15 concessioni di estrazione di gas (nessuna di petrolio) per un totale di 47 piattaforme collegate a 319 pozzi di estrazione. Un numero enorme, pari quasi alla metà di tutte quelle presenti sul territorio nazionale, che però contribuisce in maniera insignificante al fabbisogno nazionale e nulla potrebbe in caso di crisi energetica. La produzione di Gas degli impianti attivi entro le 12 miglia in Emilia Romagna, nel 2015, è stata infatti di solo 1,15 miliardi di Smc. Se si confronta il dato con la quantità di gas estratto a livello nazionale, pari a circa 62 miliardi di Smc nel 2014, si evince che l’incidenza della produzione delle piattaforme regionali ricadenti nel quesito referendario, è pari a poco più dell’1,8% dell’intera produzione nazionale di gas, e copre non più dell’ 1,7% dei consumi nazionali lordi. Si tratta di estrazioni che peraltro si inseriscono in un territorio in cui esiste già una fortissima subsidenza (l’abbassamento del suolo) che mette a rischio fisicamente le aree e l’economia fronte mare.

A livello Italiano, la produzione delle piattaforme attive entro le 12 miglia nel 2015 è stata di 542.881 tonnellate di petrolio e 1,84 miliardi di Smc (Standar metri cubi) di gas; i consumi di petrolio in Italia nel 2014 sono stati di circa 57,3 milioni di tep (ovvero milioni di tonnellate) e quindi l’incidenza della produzione delle piattaforme a mare entro le 12 miglia è stata di meno dell’1% rispetto al fabbisogno nazionale (0,95%). Per il gas i consumi nel 2014 sono stati di 50,7 milioni di tep corrispondenti a 62 miliardi di Smc; l’incidenza della produzione di gas dalle piattaforme entro le 12 miglia è stata del 3% del fabbisogno nazionale

In che modo le piattaforme e le estrazioni in mare sono pericolose per la salute umana e per la fauna ittica?

Oltre al loro contributo irrisorio per l’indipendenza energetica del paese, le attività estrattive nella zona dell’Alto Adriatico sono la principale causa antropica del fenomeno della subsidenza, l’abbassamento del suolo dovuta alla perdita di volume del sedimento nel sottosuolo.

Gli effetti più rilevanti della subsidenza si registrano in particolare sulla fascia costiera dell’Emilia Romagna che negli ultimi 55 anni si è abbassata di 70 cm a Rimini e di oltre 100 cm da Cesenatico al Delta del Po.
Alcuni studi riportano come l’abbassamento di 1 centimetro all’anno comporta, nello stesso periodo, una perdita di 1 milione di metri cubi di sabbia su 100 km di costa, che significa spendere annualmente 13 milioni di euro per il ripascimento delle spiagge, contro i 7,5 milioni di euro all’anno ottenuti come Royalties dalle compagnie petrolifere. La subsidenza aumenta inoltre l’impatto delle mareggiate e delle piene fluviali, favorendo l’erosione costiera, con perdita di spiaggia ed effetto negativo sulle attività turistiche rivierasche.

Il primo segnale importante di come non si possa più ignorare i veri impatti di queste attività, arriva inaspettatamente dal Comune di Ravenna.
In una delibera votata venerdì scorso in Consiglio Comunale, l’amministrazione di Ravenna si impegna ad avviare un percorso con Eni per la chiusura anticipata della Piattaforma Angela Angelina. Angela Angelina è la più piattaforma più vicina alla costa, ed opera a soli 2 km dalle spiagge di Lido di Dante. Un’attività che ha causato un abbassamento del territorio di Lido di Dante, dovuta al fenomeno della subsidenza.
Una velocità di abbassamento che è aumentata sensibilmente a seguito della riperforazione del pozzo, iniziata nel 1998: se il fenomeno della subsidenza era quantificabile in 12mm/anno fino al 1999, negli anni successivi dal 1999 al 2015 si è passati alla media di 19 mm/anno.

Non vi è quindi alcun dubbio che il costo per la collettività sia di gran lunga maggiore del vantaggio che ne potrebbe derivare.
Continuare ad estrarre le limitatissime risorse di gas presenti nei fondali della nostra significa, oltre che continuare ostinatamente sulla via dei combustibili fossili, sprecare denaro pubblico e mettere a rischio ecosistemi ed attività economiche legate al turismo. E’ importante sottolineare inoltre che se al referendum vincesse il Sì, la chiusura degli impianti sarebbe graduale e fondata sulla naturale scadenza delle concessioni, percorso che non causerebbe i tanto millantati effetti disastrosi sull’occupazione.

Perchè non astenersi?
Il referendum è il momento più alto di democrazia diretta nel nostro paese: i singoli cittadini sono chiamati ad esprimersi direttamente sulla validità di una specifica norma. Votare per esprimere la propria posizione, qualunque essa sia, è di vitale importanza per sottolineare la forza democratica del nostro paese.

Si parla già di "trivellopoili": quali e quanti gli interessi dietro a questa decisione?

La norma sottoposta a quesito referendario, come già sottolineato prima, sembra l'ennesimo regalo fatto alle compagnie petrolifere: consente di estrarre gas e petrolio praticamanete gratuitamente, facendo ricadere le spese sulla fiscalità generale.L'estrazione di idrocarburi è un affare per poche grandi lobby, fatto a spese della collettività.

Anche le recenti dimissioni del ministro Guidi, a seguito dell’indagine sul centro Eni di Viggiano, in Basilicata, evidenziano ancora una volta come il settore delle estrazioni gas sia in assoluto tra i più a rischio corruzione, con un tasso del 25% di corruzione percepita. Secondo l’ong Global Witness (che riprende dati Ocse di dicembre 2014) petrolio, gas e risorse minerarie costituiscono tuttora i settori a maggior rischio corruzione del mondo. In un campione di 427 casi di corruzione registrati tra il 1999 e la fine del 2014, quelli riguardanti i settori citati rappresenterebbero da soli il 19% del totale.
Questo referendum quindi ha una valenza che va ben oltre il quesito sulla durata delle concessioni di ricerca ed estrazione di petrolio e gas entro le 12 miglia: è una presa di posizione sul futuro e il presente che costruiamo per le persone e i territori. Una presa di posizione - politica economica e morale - che lo scandalo lucano e le dimissioni del ministro Guidi rendono ancora più urgente.

Chi sostiene il NO, cosa sostiene? Quali interessi?

E' evidente che i pochi sostenitori del NO, stiano proteggendo gli interessi di una lobby contro gli interessi generali. Con la partecipazione al referendum del 17 aprile, possiamo dimostrare che le persone non accettano più lo sfregio del territorio volto all'arricchimento di un piccolo gruppo di petrolieri.

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