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“Ruota degli esposti”: la storia dei bambini abbandonati ai Bastardini

Nel 1836 i bambini a carico dell’Ospizio era di 2060, mentre nel 18582300. Ne 1873 risulta che il numero degli esposti era incrementato a 3358: il numero dei bambini abbandonati toccava il tetto dell’8 per mille

Che cos'è la "ruota" degli esposti o degli orfanelli?  A Bologna era quella finestrella rotante dell'Ospedale dei Bastardini di via d'Azeglio dove venivano abbandonati i bambini con la certezza che qualcuno se ne prendesse cura. Ma la storia delle ruote arriva dalla Francia ed è con un bellissimo "riassunto" pubblicato sul sito di ASP - Azienda Pubblica di Servizi alla Persona (laquadreria.it) che la raccontiamo a chi non la conosce ma che ne ha sentito tanto parlare. 

La “Ruota dei bambini esposti” della città è parte della mostra permanente della Quadreria di ASP Città di Bologna

Nell’antichità, l’esposizione e l’abbandono della prole – sia legittima che illegittima – era fatto ammesso. A Roma l’esposizione avveniva presso la Colonna Lattaria, situata nelle vicinanze delle rive del Tevere. I bambini venivano lì abbandonati nella speranza che qualche passante, mosso da pietà, li nutrisse; spesso erano vittime dei Nutricatores, speculatori che li allevavano per venderli poi come schiavi. I primi tentativi nel porre fine a questo scempio furono fatti dall’imperatore Augusto – che istituì elargizioni da parte dell’erario per chi allevava presso di sé bambini abbandonati – e Traiano, che promulgò nuove leggi compendiate nelle Tavole Alimentari in cui si nominava un Praefactus alimentorum, il cui compito era quello di distribuire sussidi.

Solo con il cristianesimo la pratica dell’abbandono degli infanti venne finalmente deprecata e progressivamente abolita. Nel 787 a Milano fu fondato il primo Xenodochio per lattanti abbandonati e successivamente nel 870 fu istituito a Cremona un asilo Pro infantulis et parvulis peccato natis, dove trovarono ricovero i figli illegittimi privi di qualsiasi assistenza. Analoghe istituzioni sorsero il Francia , in Spagna e nel 1210 Papa Innocenzo III fece edificare a sue spese l’Ospedale di Santo Spirito a Roma.

La prima Ruota di cui si ha notizia, fu istituita nella Francia del Sud nel XII secolo e pochi anni dopo si diffuse anche in Italia, Grecia e Spagna: lo scopo era quello di arginare il fenomeno dell'infanticidio; una forma di assistenza sociale alle famiglie povere che non intendevano accudire il neonato per diverse motivazioni: perché non sposate, per motivi economici o pratici in quanto, spesso, le donne dei ceti meno abbienti dovevano lavorare tutto il giorno e non avevano tempo per seguire un nuovo neonato.

Tra il XII e il XIX secolo, crebbe enormemente il numero degli abbandoni, raggiungendo tra Italia e Francia la cifra di 40.000 individui, e di 150.000 sotto i 10 anni; solo nel nostro paese si contarono fino a 1200 ruote funzionanti. L'alta mortalità infantile degli esposti (raggiunse anche il 60% ) costretti nei Brefotrofi a pessime condizioni igienico e sanitarie, unita all'impossibilità economica delle istituzioni di far fronte a cifre così elevate di abbandoni, portò al diffondersi del pensiero secondo il quale la ruota permetteva troppo facilmente di liberarsi di un figlio, anche legittimo. Mentre all'inizio si preferiva far
mantenere l'anonimato al genitore che portava il neonato al Brefotrofio, e che avrebbe dovuto lasciare spontaneamente del denaro per il primo periodo del suo mantenimento, successivamente si tentò di responsabilizzare queste persone (di solito le mamme), e di far loro presente la necessità di denaro da parte dell'Ospedale. Si arrivò anche a fare pagamenti rateizzati della così detta “elemosina” e se non potevano pagare, venivano in modo coatto trattenute all'interno dell'Ospedale per un anno a fare da balie ai bambini che ne avevano necessità, in alternativa a balie esterne a pagamento.

Nel 1700 il fenomeno degli abbandoni conobbe un grande incremento, i Brefotrofi e gli Orfanotrofi divennero fondazioni tipiche di quel secolo, nel XIX secolo si arrivò in Europa a 350 strutture con 460.000 bambini.
Anche la letteratura romantica e il romanzo sociale cavalcò il tema dell'infanzia abbandonata che divenne in quel periodo quasi un genere letterario: trovatelli erano Oliver Twist nell'omonimo romanzo di Charles Dickens e Quasimodo in -Notre-Dame de Paris- di Victor Hugo. Anche la pittura Realistica dell'ottocento diede una testimonianza della Ruota degli esposti, nel dipinto di Gioacchino Toma - La guardia alla ruota dei trovatelli - Roma, Galleria d'arte moderna e Francesco Paolo Diodati - Ritratto di bambina - Bologna, collezione privata. Dopo questo incredibile aumento di abbandoni, si arrivò a una drastica riduzione delle ruote nella seconda metà dell'ottocento, perché le spese per il mantenimento di queste strutture non erano più sostenibili da parte dei Comuni e delle Provincie. Le ruote scomparvero definitivamente per legge nel 1923, sostituite da pubblici uffici dove solo in rari casi era possibile affidare il neonato ad un Istituto.

La ruota a Bologna

A Bologna, nel Sec. XIII, l’assistenza agli esposti era già cominciata, anche se non si sa con certezza la data di fondazione dell’Ospedale di San Procolo eretto, appunto, quale ricovero per gli infanti abbandonati e di proprietà dei monaci benedettini dell’omonimo monastero. La prima menzione dell’ospedale risale al 1250; nel 1311 il rettore – frate Benvenuto – richiede al Comune un’elemosina di cinque lire. Egli, per ottenere la sovvenzione, espone quali fossero, in quei tempi, le funzioni dell’ospedale e a chi fossero rivolte. L’ospitalità non veniva praticata in maniera settoriale verso una particolare tipologia di bisogno sociale, ma interessava i bisognosi in genere, gli ammalati ed i fanciulli abbandonati in tenera età. L’impellente necessità di denaro, testimoniata da frà Benvenuto e la variegata richiesta di aiuto alla quale non si riusciva a fare fronte, avrà portato l’ospedale a restringere la propria attività ad un solo settore, quello dell’infanzia abbandonata.

Nel 1459 ai frati Benedettini successe nel governo dell’Ospedale la Compagnia dei Bastardini che gestì per secoli l’afflusso dei bambini abbandonati, afflusso destinato ad incrementare in coincidenza a particolari eventi storici o sociali.
Nel 1798 papa Pio VII dopo lo sgombero del Convento di S. Procolo da parte delle truppe napoleoniche che lo avevano precedentemente occupato e trasformato in caserma, ne attribuì definitivamente la proprietà all’Opera Pia degli Esposti; nel primo trentennio del secolo XIX l’Ospizio ebbe la sua definitiva sede in via d’Azeglio,56.

Nel 1836 la cifra dei bambini a carico dell’Ospizio era di 2060, mentre nel 1858 il ricovero degli individui di ambo i sessi assommava a 2300. Nell’anno 1873 risulta che il numero degli esposti era incrementato a 3358; considerando che la popolazione complessiva di Bologna, a quei tempi, era di circa 392.000 anime, si deduce che il numero dei bambini abbandonati toccava il tetto dell’8 per mille.
L’ospizio si dedicò al solo ricovero degli esposti fino al 1860, anno in cui Luigi Carlo Farini, Segni di riconoscimento di due neonati. Oltre alle medaglie tagliate a metà non mancano le fotografie che ritraggono la madre o il padre dei bambini Governatore dell’Emilia Romagna, istituì l’Asilo di Maternità aggregandolo all’Ospizio stesso, affinchè le madri nubili potessero avere un luogo discreto, protetto con adeguata assistenza, per far nascere i loro bambini e prestar loro le prime cure.

L’Istituto di Bologna, dal 1876 aveva già abolito la ruota. La nostra ruota Il 12 maggio 1740 i governatori dell’Ospedale degli Esposti si riunirono per “esaminare gli inconvenienti che purtroppo succedono in pregiudizio di questo ospedale a causa delle esposizioni furtive che frequentemente succedono di creature, ora nella ruota et ora in altri luoghi e per le strade e nelle chiese”. Questa è una delle rare testimonianze riferite alla ruota ed ai bambini introdotti ai Bastardini per mezzo di essa, la cui presenza è già ricordata negli statuti, ma il cui funzionamento si conosce poco.

In realtà esso era molto semplice: la ruota è una sorta di bussola girevole in legno con una parte aperta; sistemato il neonato nella parte interna di questa sorta di rullo, prima di allontanarsi, il genitore o chi per lui, suonava una campanella che avvertiva il Guardiano dell'avvenuto deposito del neonato che ruotava il congegno e prelevava il bambino a cui venivano prestate le prime necessarie cure.

La regolamentazione, nell’ambito dell’istituto, variava da tipologia di assistito: le femmine erano trattenute fino all’età in cui venivano maritate o monacate, mentre i maschi erano trasferiti, già all’età di quattro anni, all’Ospedale dei Mendicanti di Via San Vitale. Altri, invece, venivano dati “a balia” esternamente. Crescevano presso le famiglie delle balie - in genere famiglie del contado - che spesso, allo scadere della tutela dell’Istituzione, li trattenevano presso di loro. Dagli statuti del 1570, redatti dopo il Concilio di Trento che rivoluzionava anche il sistema assistenziale cittadino, si andarono a delineare le figure cardine di gestione dell’Ospedale.

L’addetto all’immatricolazione dei neonati nei registri dell’Ospizio degli Esposti, il Campioniere, provvedeva a trascrivere i dati di cui era venuto in possesso su un altro cartoncino, unendovi l’oggetto di pertinenza del bambino. Era usanza diffusa, infatti, ai tempi nei quali era in efficienza la, munire i neonati di un cartellino con il solo nome, la data di nascita o almeno il mese, accompagnato da un piccolo oggetto, spesso tagliato a metà, allo scopo, da parte della madre che ne esibiva l’altra metà, di eventuale riprova delle sue affermazioni di maternità. Contemporaneamente gli assegnava un cognome, scelto tra quelli prestabiliti dall’Ospizio stesso e registrava il tutto su un bollettario a numerazione progressiva, detto Campione.

Era il Guardiano, però, la figura centrale del sistema organizzativo: affiancato dalla moglie essi dovevano essere come un padre ed una madre. Primo compito del Guardiano era quello di accogliere i bambini che venivano presentati e registrare su un libro proprio insieme alla data e all’ora della consegna gli eventuali segni di riconoscimento del neonato. Al Guardiano e alla Guardiana era affidato il compito di accogliere i bambini presentati all’ospedale mediante ruota. Entrambi dormivano nella “stanza della ruota”, così da poter affidare immediatamente alle balie i bambini appena consegnati.

La vita dopo la ruota

E’ importante sottolineare che a Bologna tutti i bambini che entravano all’Ospedale, dovevano essere accompagnati da un’elemosina, contributo che era necessario per reclutare balie. Se la madre non fosse stata in grado di pagare l’elemosina, sarebbe stata costretta a prestare servizio per un anno come balia interna all’ospedale, pur non allattando il proprio bambino. Nel caso estremo in cui la madre non avesse avuto né latte né la possibilità di pagare, dall’Ospedale potevano essere concesse dilazioni di pagamento.

Le balie abitavano in un’area isolata dell’ospedale, il “quartiere delle balie” , che ne poteva ospitare  circa una decina, ed era loro proibito uscire per tutto il periodo del reclutamento, solitamente un anno, in attesa che una balia esterna venisse ad offrirsi munita di un attestato di idoneità rilasciato dal parroco della propria parrocchia. I bambini allevati da balia esterna venivano condotti presso l’abitazione di quest’ultima che, in cambio, percepiva un salario, che si dimezzava al compimento
dell’anno d’età del bambino rimanendo costante negli anni successivi, oltre agli indumenti necessari al bambino: camicia, calzette, scarpe, stoffa di mezzalana per l’abito da inverno, tela rigata per quello estivo. Alle balie esterne – donne prevalentemente provenienti dai comuni della montagna bolognese, di origine contadina di piccoli proprietari terrieri – era concesso di restituire il bambino all’ospedale nel momento in cui l’avessero desiderato, ma i governatori dell’ospedale cercavano di favorire la permanenza all’esterno il più a lungo possibile. I maschi, in particolare iniziavano presto a rendersi utili nel lavoro dei campi. Potevano trovare nella famiglia della balia una collocazione anche per l’età adulta. Quando terminava il periodo di tutela dell’ospedale e cessavano i pagamenti alle balie, gli esposti maschi, in genere, rimanevano presso la famiglia che li aveva allevati, come garzoni.

Se i maschi potevano essere allevati all’esterno dell’ospedale, stessa sorte non capitava alle bambine che verso i dodici anni venivano destinate alla vita di Conservatorio. A Bologna i Conservatori erano diversi; il Conservatorio dei Bastardini si differenziava dagli altri esistenti in città (Baraccano, Santa Marta, S. Croce, S. Giuseppe) per la molteplicità delle età delle donne che lo abitavano. Da un “Catalogo di tutte le creature che si alimentano a spese dello Spedale degli Esposti” del 6 ottobre 1734, è documentata una “famiglia” di 124 donne di cui 39 superavano i 50 anni; all’interno dei Bastardini erano accolte tutte le bambine esposte che, entrate neonate, erano divenute “figlie del luogo”, acquisendo la tutela da parte dell’ente per tutta la loro vita. Era loro concesso di rimanere fin quando non si fossero sposate, monacate oppure fino alla morte. La giornata delle zitelle era occupata dal lavoro, dalla “scuola di leggere” - dove imparavano a leggere, scrivere e fare di conto - e per le più dotate la ”scuola di canto”, dove era impartita un’educazione musicale che prevedeva l’insegnamento del canto e del suono di organo e violino. A differenza degli altri Conservatori bolognesi, quello dei Bastardini non prevedeva una formazione “specializzata”.

La ruota fu inizialmente una scelta obbligata e realistica, considerato l'elevato numero dei neonati abbandonati. Attualmente esistono leggi che permettono di non riconoscere un proprio figlio senza alcuna ripercussione legale, ma nonostante questo, alcune ruote continuano a “girare”, anche nei paesi più moderni, in Germania e anche in Italia nei pressi di alcuni Ospedali; sono ruote moderne, riscaldate nei mesi freddi e con un sensore di allarme volumetrico, che avverte il medico o l'infermiere della presenza del bambino.

Bibliografia :

I Bastardini, patrimonio e memoria di un ospedale bolognese, Bologna Edizioni A.G.E. 1990
Mario Fanti, San Procolo. Una parrocchia di Bologna dal Medioevo all'età contemporanea, Bologna - Cappelli
Editore,1983
Marco Poli, Frammenti di storia bolognese, Argelato, Minerva Edizioni, 2008
Umberto Rubbi, Cesare Zucchini, L’Ospizio Esposti e l’Asilo di Maternità, in Sette secoli di vita ospitaliera in
Bologna, Bologna – Cappelli Editore, 1960 

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