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Gianluca Notari

Collaboratore Cronaca

Thiago Motta, Mihajlovic e il lungo addio. Ma ora il Bologna può sognare

Le motivazioni dell’addio e le prospettive future del club: da Sinisa a Thiago, come cambia il Bologna

Quella tra il Bologna e Sinisa Mihajlovic è stata una separazione breve e quantomeno insolita: è raro, infatti, vedere allenatori esonerati dopo appena cinque giornate di campionato. Non che manchino gli esempi (l’ultimo è stato Tuchel, esonerato dal Chelsea), ma generalmente è una decisione considerata come poco seria. I club, oggi più che mai, sono infatti votati alla progettualità. Con le restrizioni imposte dalla Uefa e la spada di Damocle della sostenibilità dei conti, le squadre sono sempre più spinte a creare profitto e, per farlo, serve continuità nel progetto. “Vendere prima di comprare” è un mantra che la quasi totalità dei direttori sportivi va ripetendo in giro per l’Europa e anche il responsabile dell’area tecnica rossoblù, Giovanni Sartori, lo aveva sottolineato nella sua conferenza stampa di presentazione. Questo argomento, toccato anche da Sinisa Mihajlovic nella sua lunga lettera di addio, è certamente un primo punto su cui ragionare. 

Valorizzare i giovani e raggiungere il risultato

Sinisa, nei suoi saluti, ha scritto che in questi tre anni e mezzo ha lanciato diversi giovani, permettendo “al club di guadagnare molto con il mercato in uscita, come dimostrano le ultime sessioni di mercato”. Vero: Theate, Tomiyasu, Svanberg e Hickey sono state tutte ottime operazioni in uscita, dalle quali il Bologna si è garantito delle ottime plusvalenze. Guardare a loro, però, è guardare ad un solo lato della medaglia. Mihajlovic fa bene a rivendicarlo e a fare i propri interessi, ma altri giocatori hanno invece subìto più che goduto della gestione Mihajlovic. Il primo è senza dubbio Emanuel Vignato: alla terza stagione al Bologna, il classe 2000 ha finora disatteso le grandi aspettative che avevano accompagnato il suo arrivo in Emilia. Che il talento ci sia, però, è fuori discussione. Lo scorso anno Vignato ha giocato 575 minuti in campionato: una miseria di minutaggio, partendo titolare solamente tre volte (sempre sostituito) e subentrando per ventuno volte.

Un altro è sicuramente Musa Barrow: anche per lui il talento non è in discussione, e per lui non vale il discorso del minutaggio. Vale, invece, la sensazione di smarrimento palpabile che Barrow regala ogni volta che entra in campo. La sua nomea di giocatore emotivo e lunatico ormai lo precede, ma motivare e tirare fuori il meglio da un giocatore così talentuoso dovrebbe essere il primo pensiero di ogni allenatore. Che a motivare Arnautovic son buoni tutti. 
E ancora: si potrebbe parlare della gestione di Orsolini, del calo nelle prestazioni di Dominguez e degli stessi Svanberg e Theate lo scorso anno.
Intendiamoci: con questo non si vuol dire che sia tutta colpa di Mihajlovic. Sinisa è un bravo allenatore, ha un rapporto solidale con i suoi giocatori e le sue idee non sono in contrasto con la progettualità di una proprietà giovane che vuole puntare all’Europa sulla scia di quanto fatto da altre squadre, come ad esempio l’Atalanta. Le sue idee, ad un certo punto, sono però sparite dal campo. Il suo Bologna ha smesso di funzionare. Dopo l’inizio al galoppo dello scorso anno, concluso con la vittoria sul campo del Sassuolo, il Bologna ha vinto appena quattro partite da dicembre fino ad oggi. Poche, troppo poche. 

Si parla poi di risultati. Da anni ci si chiede quali siano effettivamente gli obiettivi del Bologna. La risposta più audace è “l’Europa”, quella più cinica è un’alzata di spalle. L’obiettivo “52 punti” non è un obiettivo, come non lo è “la parte sinistra della classifica”, tra l’altro non raggiunto per ben due stagioni consecutive. La squadra non era adatta? Opinabile, ma se anche fosse: perché non dirlo? Perché perpetrarsi in inutili proclami? Nessuno ha mai chiesto al Bologna di qualificarsi in Champions League. Quello che si chiedeva era di lottare per un posto in Europa o in Conference League. Poi si poteva arrivare anche decimi, undicesimi, dodicesimi o tredicesimi: ma non tirando i remi in barca a gennaio. 

Sinisa, l'esonero dal Bologna e i tifosi divisi

Occhiolini e scarabocchi

Un altro aspetto su cui è doveroso soffermarsi è il rapporto tra Mihajlovic e la piazza e quello tra il tecnico e la dirigenza. Un passo indietro. Nel giugno del 2021 la separazione tra Bologna e Miha sembrava ormai cosa fatta, con Sinisa in procinto di andare ad allenare la Lazio, la sua squadra del cuore (come detto da lui stesso in diverse occasioni). Sinisa aveva strizzato più volte l’occhiolino ai biancocelesti, incoraggiato dalla prospettiva di tornare a Roma dalla sua famiglia. La Lazio però quella telefonata non l’aveva mai fatta e infine Sinisa era rimasto a Bologna. Ma non senza qualche strascico. “Lasciamo perdere altrimenti mi inc**zo” il commento da parte di uno dei dirigenti presenti al tavolo delle trattative quell’1 giugno quando gli chiesi come erano andate le cose. Quando si parla di rapporti personali tra persone bisogna sempre essere cauti, ma che Sinisa abbia un carattere forte e poco malleabile è sotto gli occhi di tutti. Anzi, lo ha detto spesso anche lui.

Di tutt’altra pasta, almeno nell’esercizio pubblico del suo ruolo, appare Thiago Motta. Di Motta potremmo dire che appartiene alla generazione dei laptop manager, e cioè di quella generazione di allenatori nata su impulso della scuola tedesca di inizi anni 2000 che punta a rendere minimo l’impatto dell’imprevedibilità. Annullare il margine di errore o quasi, puntando su un impianto di gioco studiato fino al suo più piccolo dettaglio. Nulla è lasciato al caso e, in questo senso, una certa dose di pensiero laterale aiuta. È celebre ormai il misunderstanding con la stampa italiana e il suo 2-7-2: alcuni quotidiani, studiando la Primavera del Paris Saint Germain quando era Motta ad allenarla, si soffermarono sulla sua divisione del campo in tre porzioni. Motta divideva il campo in tre aree verticali (due laterali e una centrale) in cui figuravano due giocatori sulla fascia, sette nella lunga zona centrale e altre due sull’altra fascia. I giornali italiani, sbagliando interpretazione, scrissero di un fantomatico schema 2-7-2, ignorando però che la suddivisione di Motta era per linee verticali, non orizzontali. 

Nessuno schema fantasioso, niente numeri a caso: Thiago Motta è un allenatore giovane e preparato che sa mettere a frutto il talento della sua rosa. Lo Spezia lo scorso anno ha giocato un bel calcio e il suo gioco ha valorizzato alcuni calciatori come Erlic, Bastoni, Maggiore, Gyasi e Verde. A parte la parentesi buia di Genova (i cui frutti erano dovuti più ad una società arrivata al capolinea più che alla sua gestione tecnica), Motta sembra l’allenatore ideale per questo Bologna. La squadra, come scrivono sui social alcuni tifosi rossoblù, ha una profondità e una completezza che raramente si è vista da queste parti. Alcuni nuovi acquisti possono rivelarsi utili alle idee di Motta (Moro, Lucumì o Zirkzee) mentre altre vecchie conoscenze possono rilanciarsi, come i già citati Orsolini, Vignato e Barrow. Ci sono poi le certezze: Dominguez, Schouten e naturalmente Arnautovic su cui il nuovo Bologna potrà fondare le proprie fortune per ora e per gli anni a venire. 

Una boccata di aria nuova a questo punto appariva necessaria e Thiago Motta può rappresentare il giusto compromesso tra la sostenibilità finanziaria e una gestione tecnica efficace sul medio-lungo periodo. 

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