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Quando si percorre la strada provinciale che attraversa la valle del torrente Zena, è difficile non vedere gli alberi pericolanti e i massi che dai pendii incombono verso il basso, minacciando di franare sulla carreggiata o nel corso d’acqua. E se si punta lo sguardo sull’altro lato, sullo Zena, si nota l’acqua che deve farsi spazio tra ramaglie e detriti accumulati nell’alveo. Un senso di pericolo che gli abitanti della vallata dell'Appennino bolognese vivono quotidianamente. E che non se n’è mai veramente andato dall’alluvione dello scorso maggio, quando il torrente, a causa della pioggia e della mancata manutenzione, è esondato in più punti – particolarmente gravi i danni nelle località Farneto (alle porte di San Lazzaro) e Botteghino Zocca (Pianoro) –, con frane che si sono create su tutto il territorio. “Eppure a otto mesi di distanza qui non è stato fatto praticamente nulla”, dice Claudio Pasini, portavoce del comitato che raggruppa gli alluvionati della Val di Zena, “e questi ritardi sono inaccettabili”.
Due versioni che non coincidono
Da quei giorni di emergenza tanto è stato detto e mobilitato: prima i volontari, poi il commissariamento, gli aiuti alle comunità colpite. E i lavori di somma urgenza , che nei giorni scorsi la Regione Emilia-Romagna ha dichiarato di aver concluso anche per quanto riguarda lo Zena. Una versione che a Pasini, però, non torna: “La situazione è molto diversa: mentre a Botteghino i lavori di ripristino sono in corso e questo ci rincuora, nelle altre zone la Protezione Civile si è limitata a togliere il fango dall’asfalto. Della SP36 forse un chilometro sui venti totali è stato messo in sicurezza. Percorrerla è impressionante. In un tratto c’è ancora il divieto di accesso per i non residenti a causa della pericolosità”.
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"Alla prossima 'bomba d'acqua' quanta roba verrà giù?"
Per gli abitanti della valle ogni temporale è diventato motivo di grande preoccupazione. Durante le piogge di gennaio si sono verificati dei dilavamenti del pendio collinare e la fanghiglia e i detriti già dissestati sono scivolati di nuovo sulla strada: “Quando capiterà la prossima ‘bomba d’acqua’ quanta roba verrà giù?”, si chiede il portavoce del comitato. Ma anche le condizioni del torrente non fanno dormire sereni: “In gran parte del corso le ramaglie e i detriti non sono stati rimossi. E con decenni di piene l’alveo si è alzato e ha ridotto la portata del fiume, aumentando il rischio di esondazioni. Bisogna riabbassarlo in alcuni punti e liberare le arcate dei ponti ancora oggi occluse dai detriti. C’è ancora un mare di lavoro da fare: sono almeno 20 anni che lo Zena non è stato sottoposto a una manutenzione seria”.
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Il "paradosso" della burocrazia
Il “paradosso”, così lo chiama Pasini, sta nel fatto che la soluzione a un problema di sicurezza per il territorio e per chi ci vive sia divisa tra due diverse istituzioni: la Città Metropolitana, che gestisce la provinciale, e la Regione, che invece cura il corso d’acqua. Uno “spezzettamento di responsabilità che rende ancora più complicato il tutto. In questi mesi abbiamo mandato segnalazioni e pec – conclude –. La Regione ci ha assicurato che entro gennaio sarebbero partiti i lavori al Farneto, stiamo ancora aspettando. I lavori di somma urgenza saranno stati anche conclusi, ma è tutto il territorio che non è mai stato né presidiato né monitorato veramente”.