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Martedì, 30 Aprile 2024
Economia Reno / Via Emilia Ponente, 276

Dalla ricetta segreta delle amarene alla sfida della sostenibilità: dentro il quartier generale di Fabbri | VIDEO

Viaggio nella sede storica di via Emilia Ponente 276 in compagnia di Nicola Fabbri, l'amministratore delegato dell'azienda

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Dentro la sede storica in via Emilia Ponente 276 è difficile dire se siano più gli uffici o le opere d'arte esposte. Quadri, ceramiche e sculture tutte ispirate da un'unica musa: l'amarena. Sono le opere degli artisti che hanno partecipato al premio della Fabbri 1905 che si tiene ogni tre anni dal 2005. Una specie di mecenatismo home made che riporta al passato, quando a essere fatti in casa erano i distillati che Gennaro, capostipite della dinastia imprenditoriale dei Fabbri, produceva nel retro della bottega a Portomaggiore, mentre la moglie Rachele raccoglieva le amarene che, grazie alla sua ricetta ancora oggi segreta, sarebbero diventate una golosità in tutto il mondo. Oggi a guidare l'azienda c'è la quinta generazione dei Fabbri. Tra cui Nicola, l'amministratore delegato, che a BolognaToday ha raccontato il presente e il futuro della multinazionale.

MM: Nicola Fabbri, la Fabbri 1905 va verso i 120 anni di attività. La distilleria aperta dai bisnonni Gennaro e Rachele è oggi un’impresa che produce e vende in tutto il mondo. Cos'è cambiato negli anni?

NF: È cambiato il mondo e con lui anche i nostri prodotti. Siamo nati come distilleria, poi abbiamo cominciato a fare sciroppi e bibite gassate. Le marmellate, la frutta al liquore, i gelati. La nostra storia è fatta delle fortune altalenanti di questi settori, e alcuni si sono sviluppati più di altri.

Quali?

La metà del nostro giro d’affari è composta dal mondo della gelateria e della pasticceria, l'altra metà dai prodotti che compongono i drink creati da baristi e bartender. Anche se ultimamente la distilleria vive un nuovo interesse. Abbiamo prodotto liquori e distillati fino agli anni '70, ma dopo l’ingresso delle grandi multinazionali nel mercato italiano decidemmo di chiudere la linea. Oggi invece abbiamo rilanciato un bitter e un gin fatti a modo nostro, con un leggero sentore di amarena.

Un ritorno alle origini?

Grazie anche alla lunga storia che abbiamo alle spalle. Non tutti lo sanno ma l’Italia non è solo cucina e moda. I grandi professionisti della creazione di drink guardano al nostro paese. Un esempio: il campione mondiale di cocktail in carica è Leo Ko On, un bartender di Hong Kong. Il suo drink è una miscelazione di Campari, tè Earl Grey, polvere di caffè e Cinzano Bianco combinata con il nostro gin al sapore di amarene, che gli piaceva moltissimo.

Ci svela la ricetta delle amarene che hanno fatto la fortuna della Fabbri?

Se gliela raccontassi poi dovrei ucciderla (ride, ndr). È un segreto, nemmeno chi ci fornisce gli ingredienti la conosce. L’ha creata nonna Rachele come metodo per recuperare le amarene troppo aspre per essere mangiate. C'era la crisi del primo dopoguerra, "non si butta via niente" era la regola aurea dei contadini. Nonna raccoglieva le amarene nei terreni in campagna e le trattava con zucchero e con spezie e aromi che conosceva solo lei. Fermentavano e si creava lo sciroppo di cui nonno era ghiotto, tanto che decise di venderlo nel suo primo negozio, la distilleria di Portomaggiore, nella bassa Ferrarese. Era nient'altro che il retrobottega della drogheria che aveva rilevato. Dopo oltre un secolo la ricetta è rimasta praticamente la stessa.

Il Museo Fabbri-2

Cento anni fa l'azienda coltivava le amarene nella campagna intorno a Borgo Panigale. Ma oggi?

I nostri ciliegi crescono in una fascia precisa che dalla Campania e dalla Puglia (soprattutto nell’Avellinese e nel Barese) va fino alla Grecia e all’Est Europa meridionale.

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Dopo le amarene è arrivato il vaso bianco e azzurro. Quello chi lo ha inventato?

Fu realizzato dal ceramista Riccardo Gatti di Faenza, ma fu un'idea di Gennaro che capì l’importanza di dare al prodotto un nome e una veste elegante. Chi comprava una damigiana di amarene lo riceveva in regalo così poteva versarle e metterlo in bella mostra sul bancone del bar. Gatti si ispirò alla porcellana cinese e scelse la forma di una pagoda rovesciata. Era il 1915 e il design e l’arte erano influenzate dallo stile orientale. Fu una scelta molto fortunata e il vaso è ancora oggi l'icona della nostra azienda, uno è finito anche al Moma di New York in una mostra sul design italiano.

La famiglia Fabbri aveva aperto anche un bar in pieno centro. Quello oggi non c’è più.

Il "Bar Centrale", il primo bar di Bologna aperto 24 ore su 24. Era davanti la Sala Borsa ed era il punto di approdo per i commercianti delle derrate alimentari che arrivavano di notte in città e avevano bisogno di un posto dove rifocillarsi e riposarsi. Mio padre Fabio diceva che gli accordi si prendevano in Sala Borsa ma i contratti si firmavano al bancone del "Bar Centrale". È stato un luogo molto importante per la nostra storia: lì è nato il primo semilavorato per gelateria inventato da nonno Romeo. Da lì l’amarena divenne anche la guarnizione da gelato, la coppa all’amarena.

La sostenibilità ambientale è diventata un tema prioritario per le aziende. La Fabbri come si sta impegnando su questo?

Su alcune sfide abbiamo giocato di anticipo. Lavorando frutta e alimenti, una delle risorse che consumiamo di più è l'acqua. Nella fabbrica di Anzola abbiamo realizzato un pozzo di oltre 300 metri dal quale ricaviamo l'acqua che depuriamo e utilizziamo per le nostre produzioni senza gravare sulla rete metropolitana. Nei nostri siti produttivi è installato un innovativo depuratore che tratta le acque di lavorazione, molto ricche di zuccheri e scarti e per questo molto inquinanti. Il processo viene fatto utilizzando dei batteri che "mangiando" gli scarti producono metano che alimenta il depuratore stesso, rendendolo autosufficiente. Riguardo il packaging, invece, da tempo abbiamo sostituito il vetro con il PET cristallino, che ci ha permesso di ridurre il peso dell’imballaggio e di risparmiare in termini di trasporto e quindi di inquinamento.

Nel campo delle risorse rinnovabili come vi state muovendo?

Non molto, in realtà. Abbiamo ottimizzato i nostri impianti ma non abbiamo investito in fotovoltaico o altre fonti rinnovabili perché non riusciremmo a produrre abbastanza energia per soddisfare il nostro fabbisogno. Continuiamo a utilizzare il gas cercando di limitare lo spreco.

I vasi della Fabbri 1905-2

La Lamborghini è stata la prima grande azienda bolognese ad adottare la “settimana” di lavoro di quattro giorni per gli operai. Ci state pensando anche voi?

Attualmente nostri impiegati hanno la possibilità di lavorare in smart-working un giorno a settimana. Gli orari della fabbrica seguono l'intensità della produzione, che non è lineare ma prevede momenti di picco e momenti di minore necessità. Nei periodi più "scarichi" di fatto la settimana lavorativa viene ridotta di un giorno. Più che sposare un sistema fisso ci muoviamo in accordo con i nostri dipendenti.

Sul fronte della parità di genere invece?

Noi dobbiamo salvaguardare gli uomini (ride, ndr). Nelle nostre fabbriche e nei nostri uffici la maggior parte dei lavoratori è composta da donne. È parte dell'eredità che ci ha lasciato nonna Rachele. L’attività dietro al bancone dei bar, invece, è ancora dominata dai bartender uomini. Anche se il numero delle barladies è in crescita. È una categoria che si sta riscoprendo, nonostante esista da decenni.

A breve Fabbri aprirà un nuovo negozio all'angolo tra via Rizzoli e piazza di Porta Ravegnana. Andava tutto bene finché la Garisenda non ha cominciato a fare preoccupare seriamente.

E sono preoccupatissimo anche io, non solo da imprenditore ma anche da bolognese. Se dovesse succedere qualcosa alle nostre Due Torri sarebbe una catastrofe che non mi voglio immaginare. Ovviamente il nostro negozio è il danno minore. Spero che qualcuno inventi un modo per salvare definitivamente la torre. Poi, una volta riassestata, più persone potranno andare a vederla e, magari, passeranno dal nostro negozio.

Che ne pensa della Città 30?

Devo saltare la domanda.

Addirittura?

Per me è una condizione invivibile. È sbagliato estendere a tutta la città un regolamento del genere. È importantissimo in certe vie, dove peraltro era già così. Secondo me tutta la percorrenza ne esce fortemente danneggiata.

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