Voci dall'aldilá: Ornette Coleman
Ornette: Made in America di Shirley Clarke (Stati Uniti 1985, v.o. sott. it., 77') con William Burroughs, George Russell, Buckminster Fuller, Don Cherry, Charlie Haden, Ornette Coleman & Prime Time, The Master Musicians of Jajouka
Un gigante della musica, l'inventore (letteralmente) del Free Jazz e padre putativo di no wave e free funk, nell'ultimo film della regista indipendente Shirley Clarke. Incentrato attorno all'inaugurazione della Caravan of Dreams nell'83 ma realizzato nel corso di 20 anni assemblando spezzoni in 16mm e video sequenze sperimentali, il film rivela il cuore, la mente e la musica di un artista realmente visionario.
Inaugurata nel 2004 e giunta alla sua nona edizione, torna la rassegna Voci dall'Aldilà, promossa da AngelicA Festival in collaborazione con Museo della Musica e curata come sempre dal critico Walter Rovere, con tre appuntamenti dedicati ad altrettante personalità tra le più singolari che abbiano attraversato i rispettivi generi di provenienza: l'italiano Giacinto Scelsi per la musica contemporanea, l'americano Ornette Coleman per il jazz, e l'inglese Syd Barrett per il rock.
Gli appuntamenti, a ingresso gratuito, si terranno in due sedi e orari diversi: il Centro di Ricerca Musicale /Teatro San Leonardo di Via San Vitale 63 per le serate dedicate a Giacinto Scelsi (27 gennaio ore 20.30) e Ornette Coleman (5 febbraio ore 20.30), e il Museo della Musica di Strada Maggiore 34 per Syd Barrett (13 febbraio, ore 17.00).
La rassegna prende il nome da un volume del 1968 di Konstantin Raudive, il più celebre studioso di emissioni audioelettromagnetiche di origine sconosciuta, analizzate e classificate dallo stesso Raudive come voci provenienti da persone scomparse. Analogamente ai processi psicologici inconsci di proiezione e condensazione, che tanta parte hanno nell'interpretazione di queste cosiddette EVP (Electronic Voice Phenomena), Voci dall'Aldilà accosta 'voci' di compositori scomparsi provenienti da ambiti e metodologie musicali diverse; 'visioni interiori' che in maniera più o meno evidente, sopra o sotto la soglia della coscienza, continuano a dialogare con il presente
Ornette: Made in America
La regista sperimentale americana Shirley Clarke, co-fondatrice della Film-makers Coop di New York, iniziò a fare cinema nei primi anni 50, divenendo poi molto nota nei circuiti indipendenti per i suoi film The Connection (61), The Cool World (64) e Portrait of Jason (67), e vincendo anche un Oscar come miglior documentario per il suo ritratto del poeta Robert Frost in A Lovers's Quarrel with the World del '63.
Conobbe Coleman a Parigi tramite l'amica comune Yoko Ono, e quando un produttore le propose di fare un film sul jazz, pensò di farlo incentrato sulla decisione di Ornette di usare il figlio undicenne Denardo come batterista del suo gruppo. Nel 69 la versione incompleta del film venne rifiutata dal produttore, e la Clarke abbandonò il cinema per dedicarsi al nascente campo del video. In vista dell'inaugurazione nell'83 del Caravan of Dreams Performing Arts Center che avrebbe salutato il ritorno di Coleman nella sua città natale, la produttrice Kathelin Hoffman Gray formò una compagnia cinematografica per documentare l'evento, e Coleman suggerì di contattare la Clarke come regista.
Con l'aiuto di Ed Lachman (direttore della fotografia per Herzog, Wenders, Schrader, Altman, Haynes...) decise di mescolare formati diversi, dai 16mm originali al nuovo Super 16 a video di diversi tipi, e di seguire lo stile improvvisativo e le strutture non ortodosse della musica di Coleman montando in Umatic le immagini sul suono, e non viceversa. Come raccontò la produttrice in occasione della presentazione del restauro del film al festival di Berlino, "La partitura sinfonica di Coleman venne usata come "sceneggiatura" di base, impiegando tecniche narrative non lineari, mescolando gli spezzoni d'archivio in 16mm a sogni "video-musicali" di tre minuti (in un epoca in cui MTV non era ancora esplosa), sequenze in flashback e annunciatori in finte TV di cartone; esplorando le idee di Buckmister Fuller e della corsa allo Spazio, le influenze della cultura Nordafricana sugli espatriati americani ad Algeri negli anni 60 e 70 (Burroughs, Williams, Bowles, Ginsberg), e infine le basi esperienziali del jazz e del blues emanate dai paesi del sud degli Stati Uniti."