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Il Giardino dei Folli e la storia di una maxi famiglia per scelta | VIDEO - FOTO

Siamo stati nella prima realtà di co-housing di Bologna. Partiti da zero, oggi quindici famiglie vivono in armonia in quella che potrebbe sembrare una dimensione utopica. Sostenibilità economica, ambientale e sociale per un modo di vivere il quotidiano meno solo e più collaborativo

Un modo di abitare che potrebbe sembrare un'utopia, un'isola felice per rendere il "vivere" più sereno e collaborativo. Appena fuori dalla città di Bologna, al confine con San Lazzaro e a cento metri dal fiume Savena sorge il Giardino dei Folli. È qui che quarantasette persone anni addietro hanno deciso di andare ad abitare insieme dando vita al primo "co-housing" bolognese. Fenomeno sociale di diffusione abbastanza recente, la coresidenza è la volontà di alcuni privati - siano essi famiglie o meno - di condividere a scopo abitativo uno spazio comune mettendo a disposizione gli uni degli altri non solo loro stessi, ma anche ambienti, elettrodomestici, auto, e quanto serve nel quotidiano.

Il Giardino dei Folli è un progetto di co-housing partito poco prima dello scoppio della pandemia, ma realizzato in quasi dieci anni di lavoro e in cui oggi abitano 15 famiglie. Siamo stati a visitare la struttura, o meglio, siamo andati a casa di chi ha deciso di intraprendere questo diverso modo di vivere. Le loro storie e i motivi che hanno spinto a cambiare casa e vita spiegano benissimo che un modo di vivere la quotidianità senza litigi condominiali, meno in solitudine e più collaborativo esiste.

Il progetto e il suo nome "folle"

All’ingresso del complesso di appartamenti abbiamo incontrato Vittoria. In un certo senso insieme a suo marito svolge la funzione di "direttrice" del progetto. Il tutto è partito da lei, quasi dieci anni fa. "Abbiamo iniziato prima del 2014 - racconta. Eravamo un nocciolo di famiglie, quattro o cinque, che avevano un passato scout. Tra amici dicevamo 'dai, andiamo a vivere insieme, facciamo una casa comune', tutte quelle cose che da giovani si dicono. In più eravamo all'interno di un gruppo di acquisto solidale. Per cui, abituati a fare acquisti in un certo modo ci siamo chiesti se si potesse anche abitare in un certo modo. Da lì abbiamo iniziato a pensare e a ideare il tutto e all'interno del gruppo di acquisto ci siamo aggregati in quattro o cinque nuclei familiari. Una volta che il progetto ci sembrava non solo fattibile, ma anche molto bello, ci siamo aperti al territorio".

Le famiglie, quasi tutte residenti nella zona del Savena a Bologna, hanno iniziato a fare riunioni e incontri in quartiere spiegando la volontà di mettere insieme il co-housing. "Agli incontri veniva davvero tantissima gente, una decina di anni fa riempivamo i posti. Parliamo di 150 persone interessate. Non pensavamo che arrivassero in così tanti. Il tutto poi si è 'scremato' da solo quando abbiamo iniziato a parlare di soldi e delle cifre che ogni famiglia avrebbe dovuto spendere. Siamo quindi rimasti in undici a comprare la terra. Sopra questo terreno c'erano delle serre e un negozio di giardinaggio, era tutto fatiscente e in totale stato di abbandono, si parla di un ettaro e tre di terreno". 

Lavori al Giardino - foto dal sito del Giardino dei FolliAll’epoca ancora non si sapeva cosa significasse il termine co-housing - ci spiegano -  e c'erano ancora pochi esempi di quel modo di abitare in condivisione. Per cui: "Quando spiegavamo il progetto alle persone - ma anche alle nostre famiglie e agli amici - ci prendevano per pazzi, ci dicevano proprio 'siete dei folli!'. Da qui nasce il nome della nostra casa: su questo terreno prima c'era un negozio chiamato 'Garden'. Per cui, durante le prime riunioni ci dicevamo tra di noi 'ci vediamo stasera al Garden'. Una volta finito il tutto nel decidere il nome del luogo abbiamo scelto di tradurre 'garden' in italiano - 'giardino', appunto - e di chiamarci 'il Giardino dei Folli', in onore di chi credeva o pensava che non ce l’avremmo mai fatta". Anche il vicesindaco dell’epoca - raccontano - era uno di quelli che riteneva il progetto di difficile realizzazione. "Noi abbiamo incontrato anche Merola, è stato poi lui la persona con la quale il tutto è stato realizzato. Non senza passare da vari problemi burocratici".

Lo stop iniziale, poi la realizzazione

"Abbiamo avuto un po’ di traversie - ammettono. Siamo 15 famiglie che facevano tutt’altro nella vita, per cui ci siamo affidati ai professionisti. Anche Lepore - quando era assessore - ci chiamò per farci i complimenti sul progetto. Per i politici era sempre tutto bello. Ma una volta presentato ci siamo scontrati con l’urbanistica e le regole del Rue. Abbiamo avuto una bocciatura, la sovrintendenza ci ha spiegato che il lotto era terreno agricolo. Il pezzo dove oggi sorgono le nostre case - avendo una distanza dal Savena di cento metri - è l'ultimo scampolo della Bologna agricola, per cui era una zona intoccabile. Oltre che essere anche zona di ripopolamento di lepri e di fagiani. Per superare la bocciatura ci siamo costituiti cooperativa edilizia. Ci siamo affidati a due architetti di Fidenza - che hanno progettato e abitano in un altro co-housing chiamato 'Ecosol' - che ci hanno portato avanti tutte le pratiche per evitare altre grane. Mio marito è stato presidente e c'erano altre tre o quattro persone che facevano parte del consiglio di amministrazione. Da lì abbiamo trascorso un paio di anni per farci una cultura sul coabitare sostenibile".

Cantiere nel 2020-4

"Arrivati quindi alla prima bocciatura abbiamo deciso direttamente di vedere Merola. Ci ha accolto e ci ha presentato il sovrintendente all'urbanistica, Francesco Evangelisti. All'allora sindaco il progetto piaceva, sia quello inizialmente presentato e poi bocciato, sia quello nel quale oggi noi 47 viviamo. L'obiettivo era quello di farci collaborare col Comune: ci hanno accolto e detto 'il progetto è bello, diteci cosa volete e vi indichiamo noi come farlo'. Per cui abbiamo iniziato a collaborare con la parte tecnica del Comune di Bologna". 

"Il motivo principale per cui i progetti venivano bocciati era il vuoto normativo per le strutture a impatto zero che avevamo intenzione di costruire. Sostanzialmente non c'erano dati a sufficienza sull’impatto di queste costruzioni nel territorio urbano perché non c'era una legge che regolamentasse i co-housing . Il Comune alla fine ha modificato il regolamento urbano introducendo la norma specifica (la 32-bis) per i co-housing: seguendo quelle regole introdotte per il nostro giardino si viene ufficialmente riconosciuti come co-housing" spiega Vittoria. "Grazie all’intervento del Comune, il regolamento modificato a quattro mani, le visite fatte insieme ai tecnici in altri luoghi di coabitazione, alla fine abbiamo avuto l’approvazione e abbiamo iniziato a vedere la luce. Abbiamo avviato la costruzione a fine  2018, le case sono arrivate a giugno 2019. Il lavoro è finito nel 2020, poco prima che scoppiasse la pandemia. Un bel terreno di prova per il nostro gruppo".

Tecnologia a impatto zero

Quello che oggi si trova in via degli Stradelli Guelfi è un vero e proprio villaggio quasi al limite dell'utopia. Sin dall'ideazione del progetto sono state due le strade che si sono scelte di percorrere: creare uno spazio che promuovesse le relazioni nel quotidiano, spingendo sulla collaborazione. E che il tutto fosse sostenibile al cento per cento. Ambiente e relazioni, per un vivere comune che fosse diverso da quello che è considerato un banale condomino.

Per l'aspetto ambientale le strutture che Vittoria e gli altri membri hanno scelto sono tutte a emissioni zero. Le particolari palazzine che sono state costruite sono dette "edifici passivi", in quanto non hanno emissioni inquinanti. In estate e in inverno - ci spiegano - le finestre delle case vanno sempre tenute chiuse in modo che la temperatura interna non subisca variazioni e che quindi il legno, il materiale con cui sono costruite, possa fungere da isolante. La climatizzazione a pavimento (che accendono poche volte l'anno) e la ventilazione controllata permettono di mantenere una temperatura freschissima in estate e calda in inverno. Ma oltre alla struttura delle case, le scelte ecologiche si sono riflettute anche sui sistemi di scarico delle acque. L'impianto delle abitazioni è a fitodepurazione: non c'è spreco d'acqua, in quanto tutta quella utilizzata viene poi ri-utilizzata. Le acque che provengono dai tubi e che gli abitanti usano per fare la doccia vengono purificate attraverso degli impianti e vengono quindi immerse negli scarichi dei water.

E una volta scaricate dal water, le acque così dette "nere" vengono poi riutilizzate per irrigare i campi e il terreno. Attraverso un sistema naturale che depura le acque e le fa arrivare a un macero che era già presente nel terreno, gli abitanti usano gli scarichi purificati naturalmente per dar da bere alle piante. Uno spreco che è pari a zero, per un riciclo totale di ogni goccia utilizzata: "Non ci si pensa mai - dice Vittoria - ma è assurdo che venga usata acqua potabile per riempire gli scarichi dei gabinetti. Noi depurando quella usata per la doccia ci scarichiamo il water. E depurando poi quella usata dal water ci irrighiamo l'orto. Lo spreco non c'è".

Impianti di depurazione delle acque-2

Infine, anche a livello di luce ed energia il Giardino dei folli ha scelto la strada della sostenibilità. Ogni abitazione è completamente elettrica: fornelli a induzione e riscaldamento centralizzato. Luce che arriva direttamente dal sole attraverso un impianto di pannelli fotovoltaici: "Il sistema per l'energia elettrica è tutto fotovoltaico ed è stato progettato da mio marito. Non abbiamo costi di gas o altro, tutto è elettrico in casa e anche negli spazi comuni. Sono scelte che si fanno per obiettivi che tutelino anche l'ambiente circostante, oltre che per risparmiare sui costi delle bollette nel lungo periodo".

Il macero per lìirrigazione e fine degli impianti di fitodepurazione

Privato ma condiviso

Ma la sostenibilità - seppur importante - non è l'unico e solo obiettivo prefissato del progetto. Ciò che le 15 famiglie hanno costruito insieme è un nuovo modo di vivere il quotidiano in sintonia. Collaborazione e relazioni sono l'altro filone principale del progetto.

"Chi ha scelto di partecipare e di venire a vivere qui è partito con la consapevolezza e con l'idea che un modo di vivere diverso è possibile. Siamo in 47, ci sono persone di ogni età, ognuno fa cose diverse, lavori diversi e ha ritmi differenti. Tuttavia, alla base della nostra convivenza c'è la volontà di mettere tutto in condivisione con la collaborazione al centro. Come vedete ogni famiglia ha una sua identità che è rappresentata dalla propria abitazione. Però il resto, a partire dalla piazza, è spazio comune. Abbiamo deciso di costruire di proposito tutti i balconcini e le finestre che si affaccino sulla piazza di fronte alle altre case, così come ogni porta d'ingresso. Al centro abbiamo il tavolo grande dove chi vuole mangia insieme. Nei piani interrati abbiamo fatto la sala ricreativa e per le riunioni. Anche la lavanderia è comune: oltre che risparmiare - di nuovo - sui costi questo spazio permette incontri e relazioni, rendendo piacevole anche fare il bucato".

La %22piazza%22 con le residenze

Un equilibrio tra pubblico e privato diverso da quello che si può trovare in una palazzina in centro a Bologna, dove la socialità e la condivisione sono più presenti nella vita di ognuno. "Se qualcuno ci chiede quali possono essere i pro e i contro del vivere in questo modo, io sono convinta che di contro non ce ne siano, vedo solo dei pro" spiega Vittoria. "È chiaro - continua - che c'è meno privacy rispetto a qualsiasi altro appartamento. Tuttavia, non è nemmeno vero questo. Chi vive con noi ha scelto di venire qui e di vivere in questo modo, scegliendo anche questo specifico livello di privacy. Siamo una comunità elettiva, ci siamo scelti tra di noi e abbiamo scelto di intraprendere questo percorso. Mantenere l'armonia fa parte del gioco".

Gioco che, come ci spiegano i residenti, ha le sue regole. Mettere insieme 47 persone diverse non è mai facile. "È naturale che ci siano attriti, che si formino gruppi. Siamo qui da tre anni ormai, anche solo per una vicinanza di orario di lavoro c'è chi parla più con qualcuno rispetto che con qualcun altro, è normale. Quello però che vedo è che comunque nei momenti collettivi continua ad esserci armonia generale". Tutte e le quarantasette persone si riuniscono due volte al mese per decidere su ogni aspetto della loro vita.

Alle riunioni ci spiegano come sia necessario il dialogo e come le decisioni vengono prese non attraverso il metodo democratico ma attraverso il "metodo del consenso": "Non siamo una democrazia non perché questo posto sia una dittatura, anzi. Abbiamo scelto di prendere decisioni attraverso il metodo del consenso perché quelle prese a maggioranza lasciano sempre scontenta e fuori una parte delle persone. Alle nostre riunioni tutti devono parlare, ognuno deve dire la sua opinione. Non ci si giudica mai e si cerca di arrivare alla soluzione che sia la migliore scelta per tutti". In più - ci spiega sempre Vittoria - ancora prima di entrare nelle case è stato scritto un regolamento generale come se fosse quello del condominio. "Abbiamo fatto un milione di incontri per redigere il regolamento generale che chiunque deve rispettare e che è stato approvato all'unanimità. Inoltre c'è anche la carta dei principi che spiega quali sono gli obiettivi e i valori che chi ha deciso di vivere qui deve rispettare".

Il Giardino dei Folli

Questioni economiche

Un progetto ambizioso per un costo non irrisorio. 5 milioni di euro per la realizzazione, un terreno comprato in sole undici famiglie e con un pagamento dilazionato in quattro anni. Le spese affrontate per la realizzazione del tutto sono stati molte e alte. Tuttavia, quello che ci dicono gli abitanti è che nonostante le cifre, c'è sempre stata molta fiducia sulle questioni economiche: "Oltre alla sostenibilità sociale e quella ambientale come Giardino dei Folli promulghiamo anche la sostenibilità economica. Non abbiamo mai chiesto un euro a nessuno, il tutto è stato finanziato di tasca nostra attraverso risparmi e sacrifici. Non solo, a differenza di molti altri co-housing, spesso ci è capitato di prestarci e aiutarci con i pagamenti a vicenda. Sintomo di una fiducia generalizzata tra di noi e nel progetto molto alta" spiega sempre Vittoria.

Anche per quanto riguarda il quotidiano, la comunità ha deciso un metodo che non solo mette in comune le cose materiali, ma anche il denaro da versare proporzionalmente secondo tre aspetti: "Se ad esempio si rompe una lavatrice di proprietà comune, abbiamo deciso di dividere la spesa per ricomprarla in questo modo: un trenta per cento per i metri quadri dell'appartamento che si possiede, un trenta per cento del numero dei familiari e un trenta per cento di reddito. Nei condomini normali esiste solo la quota declinata per i metri quadri, qua invece si tengono in considerazione anche gli altri aspetti. La cosa più importante è la percentuale di potere di acquisto di una famiglia, dove più alta è più alta sarà la quota che si versa".

La sala riunioni interrata

"Un'altra questione - continua Vittoria - che ci viene posta riguarda poi quando e se qualcuno decide di lasciare. In quel caso, a livello burocratico, la casa verrà rivenduta a persone che dovranno necessariamente sposare il progetto. Nel rogito siamo infatti riusciti a inserire la nostra carta dei principi, che dovrà essere firmata da chi deciderà di acquistare l'appartamento. Ovvio che poi non potremmo mai andare contro alla legge italiana: se questa casa verrà lasciata in eredità allora poi si parlerà di cosa farne o meno con chi avrà in mano la proprietà in quel momento".

"Spesso ci arrivano richieste e domande sulle case. Abbiamo tanta gente che sarebbe interessata alla cosa, ma purtroppo gli appartamenti sono tutti pieni. Quello che possiamo fare però è promuovere realtà come la nostra. Per questo motivo siamo diventati un'agenzia di promozione sociale, attraverso la quale organizziamo eventi e facciamo cultura sul co-housing sperando che divulgando la nostra esperienza possano nascere altre realtà come questa. Una volta poi terminati i lavori sullo stabile numero quattro potremo portare avanti anche la seconda parte del nostro progetto".

Cantieri in corso e nuovi spazi per l'accoglienza momentanea di persone bisognose

Poco distante dal complesso di appartamenti infatti sorge un cantiere in costruzione, dove il marito di Vittoria sta lavorando ai pannelli fotovoltaici per rendere anche questo secondo edificio elettrico al cento per cento. È la seconda parte del progetto di co-housing, o comunque un ampliamento del tutto. La palazzina che si sta costruendo servirà come sala comune dei residenti. Ma non solo: "La struttura sarà divisa in due parti. Nello spazio più grande ci andrà la nostra sala comune per le riunioni e diventerà il centro della nostra associazione di promozione sociale. Qui faremo dei laboratori per scuole e classi che verranno a trovarci come fanno già ora. Nell'altra sala, quella più piccola, imbastiremo un monolocale per la prima accoglienza".

Nuova costruzione del Giardino dei Folli

Il Giardino dei Folli ha infatti già preso accordi con il Comune per adibire parte dei sui spazi alle persone bisognose. "Parliamo di madri con figli piccoli, donne vittime di violenza, migranti (soprattutto questi ultimi dove al momento c'è grande necessità). Un monolocale per persone fragili o bisognose che abbiano necessità di un alloggio momentaneo per risolvere la loro situazione. Una volta finito il cantiere lo spazio sarà direttamente collegato con la nostra 'piazza' per cui potremo aiutare queste persone sempre per qualsiasi necessità. Dall'Ausl abbiamo gà ricevuto richiesta per alcune persone, ma ancora dobbiamo terminare i lavori".

La nuova costruzione è stata eretta attraverso le spese comuni e tramite un crowdfounding. Il progetto di accoglienza per persone bisognose infatti può essere finanziato da chiunque attraverso questa pagina. "Noi ci siamo sempre autofinanziati, per cui chiediamo a chi è interessato di poterci dare una mano. Il 9 settembre prossimo ci sarà l'open day, nel quale apriremo i cancelli a chiunque sarà interessato a venirci a conoscere". La seconda settimana di settembre infatti il Giardino organizzerà una giornata per raccontarsi e raccontare il co-housing. "Ci saranno due tipi di eventi - spiega Vittoria: uno legato agli aspetti sociali e uno invece legato a quelli ambientali. Faremo presentazioni e saremo aperti a chiunque vorrà partecipare anche solo per un caffè".

Perché scegliere un co-housing

Un progetto ambizioso, faticoso e guidato da un ideale forte. "Noi veniamo tutti da situazioni abitative serene e tranquille, nessuno di noi è scappato perchè insoddisfatto della sua famiglia o della sua vita. Noi ci siamo scelti, ci siamo trovati perché tutti della stessa idea: abitare in un altro modo è possibile". Partiti da delle riunioni di quartiere arrivati ad abitare insieme i quella che è una bellissima isola felice. Comunità verticale, di tutte le età. Quest'anno è perfino nato un bambino, rendendo il Giardino dei Folli un luogo abitato da ogni generazione. 

Pensionati, vedovi, genitori e lavoratori: storie dal Giardino

"Che bello!" è ad esempio il motto di Anna, una signora in pensione che ha deciso di intraprendere questa avventura perché convinta dalle riunioni di quartiere fatte anni fa ed esterna al "nocciolo duro" delle famiglie d'origine che avevano avuto un passato scout. "Sarei andata in pensione e mi sarei trovata in una casa da sola. Per cui cercavo persone che potessero darmi questo tipo di idee di condivisione. Ho cambiato tante case nel corso della mia vita e quando ho sentito parlare del progetto ho capito che questa sarebbe stata l'ultima. Mi ha convinto la riunione e la parola 'co-housing', che ho pure imparato e che prima non conoscevo".

Altra famiglia "esterna" a quelli che erano i primi componenti del progetto è la signora Giordana: "Mia figlia mi ha avvertito di questo progetto e dopo la riunione mi sono fatta delle domande: alla mia età sono vedova, sono sola, di cosa ho bisogno? Di fiducia, di buone relazioni e di serenità. Le ho trovate qui, anche se spesso poi continuo ad andare in città per vedere i miei amici". 

Alcuni residenti

"All'inizio è sempre stato una battuta, ma poi eccoci qua" dicono invece Maria e il marito. Lei ex maestra, lui medico, la coppia conosceva Vittoria da tempo e ha sempre invece fatto parte del gruppo iniziale dei lavori. "Noi siamo qui perché abbiamo deciso di crearci una vita in cui sia fondamentale l'esserci" dicono. "Vieni a casa dopo dodici ore di lavoro e ti girano le balle, ma sai che c'è qualcuno con cui parlare e sfogarti. Oppure no, perché non sei costretto a farlo. Ma sai che comunque qualcuno c'è". Questo è - come dicono - un "sapere positivo", l'essere presente per necessità e aiuto, per delle chiacchiere o per un caffè. La presenza costante di qualcuno rende il cortile sempre popolato dalle persone, non è mai vuoto l'intero complesso di appartamenti. Un aspetto della costante presenza di qualcuno è anche una maggiore sicurezza: "Qui i bambini giocano, corrono, saltano e noi genitori siamo tutti più tranquilli perché sappiamo che c'è sempre qualcuno che può guardarli o darci un'occhiata". 

Una comunità di persone che mette insieme la loro essenza e la loro vita per aiutare e aiutarsi. Il tutto sotto il segno della collaborazione, del consenso, del senso di appartenenza, della sostenibilità (in ogni sua sfaccettatura). Storie di vita e modi di vivere innovativi e funzionali. Storie di persone che grazie a sacrifici e passione sono riuscite a trasformare il volere in potere. E - rubando una citazione da un noto film - i matti alla fine si confermano i migliori. 

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