Telefonini ai boss dentro al carcere: si chiude maxi inchiesta con 50 indagati
Centinaia di dispositivi sequestrati: quasi tutti i dispositivi erano destinati all'are adi alta sicurezza, dove sono alloggiati gli esponenti della criminalità organizzata
Più di 100 tra smartphone e microtelefoni, almeno altrettante sim. E' il saldo di una maxi inchiesta sul traffico illecito di materiale proibito dentro al carcere della Dozza, strumenti destinati ai capi della criminalità organizzata per continuare a gestire il malaffare anche da dentro le mura della casa circondariale.
In tutto, nel fascicolo che si appresta a chiudere il pm Roberto Ceroni, vi sono circa 50 indagati. Secondo quanto riportano Repubblica Bologna e Resto del Carlino la maxi inchiesta ha preso in esame gli ultimi due anni e ha interessato anche personale esterno al penitenziario. Quasi tutti gli indagati sono detenuti, ma nel fascicolo vi sono addebiti anche verso una avvocata, accusata di avere fatto da veicolo per stupefacenti e telefoni.
Un lavoro, quello del pm Ceroni che sottotraccia aveva già trovato modo di emergere. Come quando la polizia penitenziaria e la Mobile intercettarono la consegna di alcuni telefoni tramite un drone, fatto volare sopra le mura di cinta della Dozza. Ma agli atti vi sono anche altri episodi, dove un po' tutte le organizzazioni malavitose avevano trovato il modo di far recapitare ai propri affiliati microtelefoni e smartphone. In una occasione anche un fornitore esterno della casa circondariale fu trovato a trafficare sia cellulari che stupefacente.
Affiliati, ma anche boss e killer di 'ndrangheta, mafia, Camorra, mafia albanese, marocchina e nigeriana, tutti in qualche modo avevano o potevano avere accesso ai 'servizi' di un device elettronico, accesso che dietro le sbarre solitamente diventa strumento potentissimo per aumentare potere e controllo su altri detenuti, disposti a favori e riconoscenza per una telefonata fuori dalle maglie della procedura penitenziaria.