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Lambrusco. Il vino che era mediocre e adesso non lo è più

Bollicine, tappi che volano, autoclavi e sbicchierate tra amici hanno segnato la storia di un vino. Che a un certo punto si è ribellato alla sua fama

È il vino della spontaneità, della semplicità, dello stare insieme come lo si intende in Emilia Romagna, fresco e frizzante, conviviale, diffuso in milioni di bottiglie che non sempre fanno della qualità il loro assioma, anzi. La mente associa spesso il lambrusco ai bottiglioni da poco, negli scaffali più bassi del supermercato, oppure a certe serate tra amici, con tortellini e zampone alla sagra di paese: il bicchiere che prova ad accontentare tutti, nel prezzo e nell’effervescenza sgrassa la bocca e riunisce la tavola. Pena qualche cerchio alla testa.

Resta (deve restare!) anche questo lo spirito del lambrusco, tuttavia lo troviamo oggi valorizzato in interpretazioni di ottima fattura, rigenerato in quello che è il suo appeal: non più vino dei nonni ma giovane e appetibile negli aperitivi come sulla carta degli chef stellati, profilo al passo con altri vini spumantizzati e fascino da vendere. Nel rilancio di un’immagine moderna, fedele al suo valore storico, grazie soprattutto al lavoro di chi persevera sulla strada di qualità e genuinità.

Il Lambrusco di Sorbara

Al centro di questa rinascita c’è l’uva sorbara del Lambrusco di Sorbara, DOC che vede la sua zona d’elezione tra i fiumi Panaro e Secchia, nel modenese. Parliamo di terreni a carattere alluvionale dove meglio si è adattata la vigorosa vitis labrusca, un tempo selvatica e spontanea, sovente affiancata ad altre varietà per renderla più produttiva in vigna, affabile in cantina e docile nel bicchiere. Eppure è in purezza che il Sorbara sa esprimere al meglio la propria essenza, spesso chiaro, brillante, quasi trasparente, elegante e acidulo, delicato e perentorio nella verticalità, secco nella chiusura dopo che la giostra dei numeri aveva diffuso nel mondo ettolitri di lambrusco sempre più gassati e dolciastri.

L’intervento della Famiglia Chiarli

Mr. Anselmo Chiarli

A scrivere la storia di questo vino è indubbiamente la famiglia Chiarli, attiva dal 1860 e dal 2000 forte del marchio Tenute Agricole Cleto Chiarli, nome che omaggia il capostipite quale garante di storicità e valorizzazione dei “vigneti preziosi” (sotto questa effigie il gustosissimo Lambrusco del Fondatore). Anselmo Chiarli racconta come un tempo il lambrusco diveniva frizzante quasi per caso: “Si posticipava la vendemmia, anche sperando di alzare il grado alcolico, quindi il freddo in cantina bloccava le fermentazioni che poi ripartivano in bottiglia, a primavera”, donando la tipica effervescenza e la briosa spuma.

Cleto Chiarli in vigna

“I tappi erano legati con lo spago e spesso saltavano lo stesso”, spinti da un’effervescenza poco gestibile, mentre l’avvento dell’autoclave in cantina (quella del metodo Martinotti/Charmat) conferì risultati più continuativi e diede impulso allo sviluppo aziendale. “Ma già nell’Ottocento il Sorbara era apprezzato per le sue specificità e così dobbiamo mantenerlo, promuoverlo nel tempo: esile, nobile, elegante. È un grande vino, sta a noi dimostrare quanto”.

La purezza della Cantina Paltrinieri

Alberto Paltrinieri conduce assieme alla moglie Barbara quella Cantina Paltrinieri fondata dal nonno Achille nel 1926 a Cristo di Sorbara, in un territorio ideale per la varietà. Nel 1998 furono loro i primi a indicare “Sorbara in purezza” su un’etichetta che fece da apripista: oggi quel lambrusco è il richiestissimo Radice (bottiglia trasparente, tappo a corona e lieviti in sospensione per la versione più contemporanea), ma ai tempi certi clienti “vedevano con sospetto questo vino tropp’ cier”, troppo chiaro, con quel colore scarico (ora assai imitato) a cui il gusto comune non era abituato.

Uve Paltrinieri

Le loro interpretazioni del Sorbara spaziano dalla spumantizzazione in autoclave a quella in bottiglia, “che il mercato salutò come una novità” ma che abbiamo visto avere origini ataviche, fino al metodo classico tipico degli champagne, “perché vogliamo valorizzare tutte le peculiarità del Sorbara, grazia e acidità ma anche una longevità che sorprende”.

Paltrinieri Barbara e Alberto

Champagne modenesi e Sorbara Fizz

E se parliamo di metodo classico la mente corre alla famiglia Bellei, con Christian che porta avanti il lavoro del padre Beppe, innamorato degli champagne francesi e pioniere della tipologia per la zona. Oggi l’azienda di Christian è Cantina della Volta, a Bomporto, spumantizzazione e affinamento in bottiglia sono il centro del discorso “nella difficoltà di raccontare un prodotto di eccellenza, mentre il lambrusco viene associato al basso costo”, come dicevamo in apertura.

Cantina della Volta le bottiglie

Eppure, alla lunga, tenacia e qualità premiano sempre. In questi locali “l’autoclave non è mai entrata e niente è lasciato al caso”, neppure il packaging: sono proprio di Cantina della Volta alcune delle bottiglie più belle (e buone) che i migliori bar e ristoranti vi offriranno come biglietto da visita della zona (ma le si trovano ormai in tutta la penisola). Intanto il Sorbara Fizz certifica a pieno titolo l’ingresso del Lambrusco nella mixology: trattasi di cocktail nato in collaborazione con Marco Ghidorzi, in arte Ghidda, bartender di Modena che ha unito il Lambrusco di Sorbara Metodo Classico Brut Rosso con bitter Fusetti e succo di limone, creando una sorta di Spritz dissetante, fresco, leggero, innanzitutto autoctono.

Cantina della Volta

La primavera del Lambrusco

E così potremmo incontrare altri protagonisti della scena locale, indagare i menu delle osterie storiche, visitare le aziende e stappare bottiglie, guardare i ragazzi che consumano i loro aperitivi davanti ai locali più modaioli: il quadro che emergerebbe andrebbe a confortare questa piccola finestra aperta sul Lambrusco, salutando un vino all’apice della sua nuova primavera, custode della tradizione in un percorso di qualità e modernità. Sempre più spesso godibile anche allo sguardo, distante da certi prodotti dozzinali che sembravano rinnegare la loro stessa identità.

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