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Lunedì, 29 Aprile 2024
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Vanitosi e senza un amico: Luca Bizzarri e lo show tragicomico dei nostri politici

Un'intervista per scoprire il dietro le quinte del monologo "Non hanno un amico" tratto dal popolare podcast quotidiano del comico e attore, che sarà di scena al Teatro Celebrazioni

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“Sono Luca Bizzarri, questo è un podcast di Chora Media e si chiama ‘Non hanno un amico’”. Ogni giorno tantissime persone ascoltano queste parole negli auricolari o in macchina, mentre fanno colazione o stanno andando al lavoro. Con il podcast scritto insieme a Ugo Ripamonti, l’attore e comico Luca Bizzarri racconta il meglio del peggio dei politici italiani: dall’ennesimo selfie di Matteo Salvini sui social alle sparate del senatore Maurizio Gasparri (che con Bizzarri battaglia spesso e volentieri su Twitter), fino alle gaffe di quello o quell’altro ministro - senza risparmiare ovviamente l’opposizione. Con ironia e schiettezza, ogni puntata mette a nudo gli egocentrismi e le vanità della nostra classe dirigente abbagliata da like e titoloni. Ora “Non hanno un amico” è anche uno spettacolo e a Bologna ci torna giovedì 1 febbraio sul palco del Teatro Celebrazioni.

MM: Bizzarri, cos’è questo fantomatico “amico” che i nostri politici secondo lei non hanno?

LB: Un amico è una persona che ti dice quando sbagli, che ti dà torto. Tutti siamo molto carenti di un amico, io per primo. Le faccio un esempio: se il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida avesse avuto un amico, non avrebbe dichiarato che non commenta il caso di Ilaria Salis (l’attivista italiana che durante il processo che la riguarda in Ungheria è stata portata in aula con le catene alle mani e ai piedi, ndr). Perché, dice Lollobrigida, “non ha visto le immagini”, le foto pubblicate sui giornali. Manco si trattasse di un rigore.

Non solo Lollobrigida: ogni giorno ne ha per qualcuno. Sembra che nessuno riesca a scampare a Bizzarri.

Non si salva nessuno perché la politica in sé sta diventando una forma di spettacolo. Io penso che i nostri politici siano un po’ naif e un po’ ridicoli, impreparati rispetto a certi modi di comunicare. Non conoscono bene i mezzi che usano, e con loro forse anche una certa classe di comunicatori o social media manager che è carente.

È davvero così? La "Bestia" di Salvini - la macchina strategica con cui conquistava scena e consenso su Facebook per mezzo dei suoi post - funzionava molto bene, tanto che ha sancito la fortuna elettorale e politica dell'attuale vicepremier.

È vero, ma ha funzionato? Il modo che ha di usare i social paga davvero? Forse in termini di follower e movimento sì. Ma non in termini di voti. Perché uno che ti vota perché hai postato le foto dei gattini, magari alle elezioni successive vota un altro che gli dice che la Terra è piatta. Con questo imbarbarimento del dibattito diventano inaffidabili anche gli elettori. Soprattutto loro hanno bisogno di un amico perché chi vota è il riflesso del politico. Non c’è una distanza tra gli eletti e gli elettori, ma un’assonanza preoccupante.

Qual è secondo lei il politico che più di tutti avrebbe bisogno di un amico oggi?

Giorgia Meloni perché la responsabilità più grossa. Dobbiamo augurarci che ci sia qualcuno che gli voglia bene e che la consigli nel modo giusto. Anche perché è circondata da persone imbarazzanti.

Uno come Mario Draghi, il premier decisamente più posato e distaccato tra quelli più recenti, sarebbe finito comunque in “Non hanno un amico”?

All’inizio Draghi mi aveva molto stupito perché sembrava un marziano. Ma gli sono bastati due mesi nei palazzi del governo per cominciare anche lui a fare il simpatico e il piacione con le battute. È come se fosse una malattia. E occorrono degli anticorpi molto forti per non caderci dentro.

Scrivere un podcast è diverso dallo scrivere uno spettacolo teatrale. Il “Non hanno un amico” sul palco cos’ha di diverso?

I presupposti sono gli stessi, cioè raccontare le stesse dinamiche della nostra politica. Quello che porto sul palco, però, è un discorso molto più complesso e organico. Non c’è mai una puntata che è stata traslata pari pari dal podcast. Parlo di attualità ma anche di costume, parto dalla mia generazione e faccio il confronto con quelle precedenti e quelle successive. Gaber diceva che la sua generazione aveva perso, la mia non è scesa neanche in campo. La speranza dietro “Non hanno un amico” è che, mostrando ai più giovani i risultati dell’attuale generazione, loro abbiano un moto di orgoglio e cambino qualcosa, almeno il modo di comunicare.

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