"L'altra zebra" installazione di Alberto Monti
La vaghezza accompagna spesso la nostra percezione quotidiana delle cose.
Una sorta di “rasoio di Ockham” è utilizzato per eliminare ciò che vi è di superfluo per raggiungere fini pratici: siamo portati a mantenere certezze, se utili, e dubitare di tutto quello che nel quotidiano risulterebbe invece non conveniente.
La verità che sta dentro le cose, nella loro essenza invisibile, mostra la necessità di qualcosa che non ci è dato e non appare.
Più in generale potremmo dire che spesso non si percepisce il perché delle cose, né la condizione stessa della possibilità di un fenomeno.
Ad una analisi percettiva l’installazione può apparire illogica, incongrua o addirittura insensata.
Il suo “ senso” è che le cose osservate possono anche deludere, smentire oppure rinnovare le nostre aspettative.
L’installazione propone una sorta di “camuffamento mimetico”: una zebra su un passaggio pedonale in una via di Bologna.
Mentre la parola “mimetico” rinvia a “mimesis”, traducibile come “riproduzione della forma simile all’operare della natura”, l’etimologia della parola “camuffamento” è dibattuta.
Per alcuni il termine camuffamento deriva da “cafouma”, che significherebbe "soffiare una folata di fumo in faccia a qualcuno, per disorientarlo, per annebbiarlo".
Secondo altri da "muffula", col significato di "nascondere" e quindi "ingannare", "imbrogliare".
Tra le varie possibili altre etimologie, invece, sembra poeticamente efficace quella che deduce il termine dalla stessa radice da cui proviene la parola francese “charme”.
Considerando l'immagine del mondo sotto altre prospettive, quindi, il camuffamento potrebbe interpretarsi come una sorta di “incanto gettato sulle cose“.
Una zebra nella savana non si mimetizza, non scompare , non diventa trasparente o impercettibile a chi guarda, solamente si “camuffa”.
Rompe solo una forma, usando il proprio corpo per trasformarne le apparenze, attraverso pattern distruttivi che comprimono o dilatano i volumi e modificano i contorni, con macchie o strisce alternativamente chiare e scure.
In natura la rapidità della decisione di chi è osservato come “una preda dello sguardo" dipende dalla valutazione del tempo necessario per fuggire, mentre il tempo di reazione di "chi guarda" è rallentato dall'imbarazzo provocato da segni ambigui che confondono la comprensione di ciò che sta osservando.
L’installazione mette in scena questa retorica del conflitto tra osservatore e osservato, in un tempo bloccato, per rinviare a una caratteristica della società attuale che non fa più uso di repressione ma di controllo e intercettazione comunicativa.
Il mantenimento del dubbio da parte dell’osservatore, il non riuscire a trovare nello sguardo una soluzione univoca, potrebbe esprimere una risorsa?
Potrebbe permettere ancora di sorprendersi, stupirsi di fronte al nuovo e all’inatteso, rendendo inutili e non scontate sia le previsioni che le successive reazioni?
Ciò che infrange l'esperienza devia dalle aspettative e dal corso normale delle cose.
L'attimo della sorpresa si confronta su ciò che essa ha da dire con uno “sguardo impregiudicato”. Qui osserviamo un animale, una zebra, che, osservata, osserva a sua volta alcune foto di persone che attraversano un passaggio pedonale.
Gli animali sono esseri senzienti ma sprovvisti di “ logos” e per questa ragione sono stati sempre considerati dagli uomini come esseri inferiori.
Ma per lo stesso motivo li si percepisce come “enigmatici” in quanto non è possibile intrattenere con loro una relazione attraverso il linguaggio verbale.
Questo limite però si è anche rivelato un formidabile volano di emozioni e di meraviglie: gli animali, proprio in virtù di tale carenza, comunicano in forme diverse dalle nostre: usano il corpo, emettono suoni che dobbiamo interpretare, comunicano con noi proprio attraverso lo sguardo.
Abbiamo solo una ponderata e disponibile strategia di fuga o invece possiamo semplicemente desiderare di “restare” e così percepire il mondo con il suo incantamento?