“Musica in Rete. Il Sabato con l’Accademia”: duo pianistico di Eleonora e Beatrice Dallagnese
Sabato 20 marzo, alle ore 17, è in programma un nuovo appuntamento della rassegna “Musica in Rete. Il Sabato con l’Accademia”, in streaming sul canale YouTube dell’Accademia Filarmonica di Bologna. Protagonista del concerto il Duo pianistico costituito da Eleonora e Beatrice Dallagnese, due giovanissime sorelle gemelle di grande talento che, alternandosi in esecuzioni a due e quattro mani, eseguiranno la Sonata n. 2 op. 19 di Skrjabin, lo Scherzo op. 54 n. 5 di Grieg e Six Épigraphes Antiques di Debussy (4 mani).
Il Duo Dallagnese sarà protagonista anche del quarto appuntamento della rassegna, in programma sabato 27 marzo, con le musiche di Chopin, Notturno op. 27 n. 1, Skrjabin, Sonata n. 5 op. 53, e Schubert, Allegro “Lebensstürme” D 947 (4 mani). Il concerto è gratuito e visibile sul canale YouTube dell’Accademia Filarmonica di Bologna.
SIMBOLISMO DI INIZIO NOVECENTO | Note al programma del 20 marzo di Guido Giannuzzi
Composta tra il 1895 e il 1897, questa seconda Sonata di Skrjabin aderisce, al tramontare dell’Ottocento, a una dei generi musicali più tipici del secolo, la musica a programma. È l’autore stesso che ce ne racconta l’intento in una premessa all’edizione a stampa: «La prima sezione rappresenta la calma della notte su una spiaggia del sud; lo sviluppo è la buia agitazione del mare profondissimo. Il ‘mi maggiore’ della sezione centrale evoca il chiaro di luna che appare, simile a una carezza, dopo il primo buio della notte. Il secondo tempo rappresenta l'ampia distesa dell'oceano agitato dopo una tempesta». Tuttavia, Skrjabin era un artista più vicino al simbolismo che al tardoromanticismo, così che sia la natura che l’uso del materiale musicale vanno più in questa direzione: temi frammentati, brevi, e una elaborazione molto libera sul piano tonale e visionaria sul piano estetico, molto attenta alla creazione di atmosfere evocative, più che descrittive in senso proprio.
I Pezzi lirici di Edvard Grieg sono una collezione di sessantasei brevi composizioni per pianoforte solo scritte tra il 1867 e il 1901, suddivise in dieci libri. Lo Scherzo appartiene al quinto libro, l’op.54, che fu dedicato al compositore di origine olandese Julius Röntgen; sempre dall’op.54 Grieg trasse nel 1904 la Suite lirica, composizione tra le più conosciute del compositore norvegese, frutto della rielaborazione per orchestra di quattro brani inclusi nella raccolta. Nei Pezzi lirici traspare l’influenza della musica tedesca, acquisita negli anni di studio a Lipsia, ma da cui Grieg seppe però affrancarsi; tuttavia, fa capolino qui e là anche la lezione di Debussy, proprio attraverso la libertà formale e il carattere semplice e naïf di alcuni momenti musicali.
Il 17 marzo 1900, alla Société Nationale de Musique di Parigi, si tenne la prima esecuzione delle Trois Chansons de Bilitis di Claude Debussy, cantate da Blanche Marot, accompagnata al pianoforte dall’autore. L’autore del testo era un amico fraterno di Debussy, il poeta Pierre Loüys, che pubblicò questi testi nel 1895, sostenendo di aver tradotto alcune liriche ritrovate sulle pareti di una tomba a Cipro e opera di una poetessa greca del VI secolo a.c. chiamata Bilitis. In realtà, si trattava di una mistificazione bella e buona, dove le poesie si ammantavano volutamente di un sapore arcaicizzante, tanto da trarre in inganno anche alcuni affermati critici. Questa operazione era nel segno dell’imitazione della classicità, ma addirittura quella arcaica, appunto, secondo il gusto della moda di stampo simbolista, allora assai in voga. A questa versione per canto e pianoforte, che ebbe molto successo, Debussy fece seguire una partitura per due flauti, due arpe e celesta, chiesta da Loüys all’amico e destinata ad accompagnare una rappresentazione scenica delle Chansons de Bilitis, che si tenne poi il 7 febbraio 1901. Nel 1914 Debussy pensò di rielaborare ulteriormente questa versione, facendone derivare le Six Épigraphes Antiques per pianoforte a quattro mani (ne esiste anche una versione per singolo esecutore), i cui titoli furono liberamente rielaborati da Debussy, prendendo spunto dai versi originali. Se le Six Épigraphes Antiques appartengono dunque alle composizioni per pianoforte a quattro mani, genere abbastanza praticato nell’Ottocento, quando era diffusa la pratica di suonare in casa le trascrizioni delle opere di maggiore successo, o le riduzioni per pianoforte delle sinfonie beethoveniane o dei poemi sinfonici lisztiani, esse sono, tuttavia, improntata una ricerca del suono di tutt’altro spirito, frutto della visione simbolista di Debussy, e dunque tendente all’evanescenza e al ‘non detto’.