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Venerdì, 26 Aprile 2024
Cronaca

Pranzo di Natale fuori ? Ristoratori nel caos: "Con questa incertezza non sappiamo come muoverci"

Abbiamo chiesto ad alcuni ristoratori bolognesi cosa pensano delle ulteriori strette che il governo dovrebbe attuare in vista delle festività natalizie

Lavorare nell'incertezza, in un periodo già tutt'altro che roseo. È questa la situazione in cui si trovano i ristoratori bolognesi, e non solo, a dieci giorni dal giorno di Natale. Non è ancora infatti ufficiale ma dovrebbe arrivare a breve la stretta del governo che obbligherà nuove chiusure nei giorni festivi per bar e ristoranti.

Il tutto per scongiurare una terza ondata quando, di fatto, la seconda non è mai finita e anche oggi si contano oltre 800 morti da coronavirus. Dati preoccupanti che portano il governo a fare qualche passo indietro con decisioni dell'ultima ora che rendono molto difficile la vita di chi, come i ristoratori, già va avanti a fatica.

"Siamo stanchi, lavoriamo nell'incertezza da mesi"

La titolare della Trattoria Casa Mia, Valentina Altomare, ci dice che per il pranzo di Natale è già tutto prenotato:  "Non abbiamo tantissimi coperti a causa delle restrizioni, ma comunque tutti i tavoli disponibili sono già prenotati, tra dieci giorni è Natale e noi non sappiamo come comportarci né cosa dire a clienti e fornitori. Lavorare in quei giorni significa organizzarsi e pianificare – spiega –, essendo un pranzo particolare, sebbene la nostra cucina sia tradizionale e quindi riusciremmo comunque ad usare i prodotti per gli altri pranzi, non rischio di fare un ordine dispendioso se non c'è la certezza di aprire. Anche solo ad esempio una spesa di vini e spumante è un bell'investimento. Ma al di là di questo, mi piacerebbe riuscire ad organizzare il lavoro di tutti, fare i turni in cucina e in sala; lavoriamo e viviamo nell'incertezza da mesi: siamo stanchi. All'inizio poteva essere comprensibile – si sfoga –ma adesso non è accettabile: non poter progettare nulla è pesante. Noi avevamo già pensato di aprire un punto vendita solo asporto in passato, adesso lo abbiamo fatto con la spinta del covid e almeno siamo sicuri di lavorare".

"Per il pranzo di Natale siamo pronti – dice Andrea Gualandi dell'Osteria BoccaBuona – ma siamo bloccati in un limbo in attesa di capire se si potrà effettivamente aprire o meno. Il menù è pronto, perlomeno sulla carta, e alcuni tavoli prenotati. È difficile lavorare così perché molti prodotti vanno ordinati prima, come ad esempio il cappone ma anche i tortellini. Tenere in sospeso migliaia di ristoratori significa mettere in difficoltà persone che già lavorano in condizioni difficili. Nel mio caso ho doppia difficoltà perché sono titolare anche di un altro locale, quindi anche i problemi sono doppi. Sono passati già dieci mesi – conclude – abbiamo purtroppo imparato a conoscere il problema, non è febbraio, non è qualcosa accaduta all'improvviso come lo scorso anno. Penso che c'erano tutti i presupposti per gestire la situazione al meglio".

Il telefono della Trattoria Amedeo squilla e i fornitori chiedono conferme sugli ordini per Natale: "Non so cosa succederà", risponde dall'altra parte del telefono Francesco Graziano, titolare del ristorante,  che alla fine ordina due chili di mozzarella di bufala e, sospirando, spiega a chi lo ascolta che nella peggiore delle ipotesi la porterà a casa.

"Per noi è un problema non lavorare a Natale, abbiamo saltato Pasqua, ora chiuderemo anche a Natale e Capodanno. La situazione diventa insopportabile sia economicamente che psicologicamente. Rispettiamo le distanze con plexiglass e distanziamento, abbiamo un terzo dei coperti rispetto a prima ma comunque non è sufficiente per lavorare. Non si può andare avanti così – si sfoga il ristoratore – bisogna incrementare i controlli e penalizzare chi non rispetta le regole. È un danno incalcolabile, già si lavora pochissimo".

"Meglio chiudere tutto e riaprire quando sarà veramente possibile"

Tra i ristoratori bolognesi interpellati, c'è anche chi pensa alla chiusura in attesa di riaperture definitive. "Sarebbe meglio chiudere in attesa di tempi migliori – ci dice Alessandro Chionsini di CelestiAle – perché aprire così significa  semplicemente sprecare risorse inutilmente. Viviamo alla giornata, nell'incertezza, e ciò sta uccidendo la nostra voglia di fare, sta spegnendo l'entusiasmo di far star bene la gente. Sta andando male, noi siamo un cocktail bar principalmente, aprivamo di base alle 18, quindi il 70-80% del fatturato si faceva di sera. Adesso apriamo a pranzo ma è quasi l'una e aspettiamo solo cinque ospiti, rari e graditi, ma pur sempre cinque".

"Mancano dieci giorni al Natale – prosegue – ci stiamo preparando per star chiusi perché non crediamo ci faranno aprire. Ma anche se ci facessero lavorare, con le limitazioni che ci sono, necessarie per limitare la diffusione dei contagi evidentemente, non apriremmo perché siamo molto sfiduciati, non c'è lo spirito, tanto vale aspettare tempi migliori". 

Della stessa idea anche Sandro Frigerio della Trattoria Collegio di Spagna, che preferirebbe anche lui chiudere per poi riaprire più in là. "C'è una pandemia? Allora non importa che sia Natale – dice –, il Natale tornerà anche il prossimo anno. Riapre e chiudere di continuo non ha senso: non è più sostenibile né economicamente né psicologicamente.

Ci atteniamo alle regole, resistiamo e facciamo del nostro meglio. Se ci permettono di lavorare a Natale, lavoriamo; se ci impediscono di farlo, pazienza. L'ideale sarebbe chiudere per due o tre settimane come fanno in altri paesi europei, che forse sono più seri del nostro".

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