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Cronaca

Faro sugli episodi violenti che troppo spesso interessano gli operatori sanitari

Sono 2.700 i professionisti che hanno subito violenza, verbale o fisica, in Regione lo scorso anno. 1.997 quelle verificatesi nei nostri ospedali. I più colpiti gli infermieri. Numeri che non possono passare sotto silenzio

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Sono circa 2.700 i professionisti lo scorso anno hanno subito violenza, verbale o fisica, in Emilia Romagna. 2.112 si sono verificate nel settore pubblico, di cui 1.997 in ospedale. I più colpiti risultano essere gli infermieri. Numeri allarmanti. Da qui l'esigenza di accendere un faro sulla questione. Prevenire e contrastare tali episodi. Occasione è anche la “Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari”, istituita nel 2022 e che si celebra il 12 marzo di ogni anno.

La Regione sottolinea il proprio impegno nel fronteggiare questo fenomeno. A partire dalla formazione. Si è ad esempio concluso oggi il corso “La prevenzione delle aggressioni agli operatori sanitari in Emilia-Romagna", organizzato nell’ambito del Piano regionale della prevenzione 2021-2025; che ha coinvolto tutti gli operatori  della  Regione addetti ai lavori (responsabili e addetti dei servizi di prevenzione e protezione, medici, psicologi, tecnici della prevenzione, risk manager), con l’obiettivo di creare un’occasione di confronto sulle azioni già realizzate e di definire una strategia comune di interventi nelle Aziende sanitarie a breve termine.

Vergogna ingiustificabile

“Gli episodi di violenza nei confronti degli operatori sanitari sono vergognosi e ingiustificabili, e non ammettono alcuna tolleranza- commenta l’assessore alle Politiche per la Salute, Raffaele Donini-. É inammissibile, infatti, che professionisti che dovrebbero essere solo ringraziati, siano oggetto di aggressione. La Regione da tempo monitora il fenomeno e, insieme alle Aziende sanitarie e ospedaliere, è impegnata a prevenirlo e contrastarlo con tutti gli strumenti a disposizione, dalla vigilanza alla formazione del personale, alla sensibilizzazione dei cittadini, nell’ambito delle proprie competenze e in raccordo al prezioso lavoro svolto dalle Forze dell’Ordine”.

Cosa fa la Regione per contrastare il fenomeno

Nel 2020 la Regione ha trasmesso alle Aziende sanitarie le “Linee di indirizzo per la prevenzione degli atti di violenza a danno degli operatori dei servizi sanitari e socio-sanitari”, che contengono misure e interventi da attivare per contrastare il fenomeno. È in via di adozione da parte di tutte le Aziende sanitarie il sistema di segnalazione informatizzato denominato Segnal-ER, che raccoglierà le segnalazioni di aggressioni per una loro analisi e controllo tempestivi, lasciando alle Aziende la gestione del singolo episodio e le misure di prevenzione e protezione da adottare. Un sistema di raccolta, analisi e gestione dei dati utile per conoscere il fenomeno con un elevato livello di dettaglio e per definire gli interventi migliorativi, contestualizzandoli nei luoghi delle segnalazioni.

Alcuni tra gli interventi adottati di tipo tecnico riguardano: l’incremento della videosorveglianza e dell’illuminazione, l’installazione di Pulsanti antipanico e videocitofoni, il fissaggio degli arredi e il montaggio di vetri antisfondamento; sono in corso accordi con le Forze dell’ordine per la redazione di specifici protocolli di intervento. Vi sono anche sperimentazioni per l’adozione, soprattutto nelle postazioni isolate, di dispositivi di protezione personale quali bodycam, dispositivi di allarme, braccialetto con sim e gilet antiaggressione.   

Per quanto riguarda l’assistenza agli operatori colpiti, le Aziende hanno sviluppato procedure di assistenza legale relativamente ad aggressioni di tipo fisico; è attivo anche uno sportello di assistenza psicologia per tutti gli operatori che sono stati vittime di violenza.

I dati in Emilia-Romagna

In Emilia-Romagna il fenomeno viene monitorato in due modi: con l’analisi degli infortuni sul lavoro (estratti dal Sistema informativo regionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro) e con l’Osservatorio regionale di monitoraggio degli infortuni e delle malattie professionali correlate al lavoro; inoltre, attraverso il sistema delle segnalazioni effettuate dai singoli operatori sanitari oggetto di aggressione. 

Le tipologie di aggressione più frequenti, e spesso compresenti per ogni evento, sono quelle verbali (83,2%), dato nettamente in crescita negli ultimi anni; seguono quelle fisiche (32,7%), dato rilevante ma non in tendenziale crescita comparando gli anni 2022 e 2023; e quelle contro la proprietà (11,3%).

Relativamente al settore pubblico, gli operatori coinvolti sono 2.393, il 3,4% del totale dei dipendenti del servizio sanitario regionale. Le qualifiche professionali più frequentemente colpite sono gli infermieri (59,7%), i medici (11,2%) e gli operatori socio-sanitari (10,3%), a seguire le altre professioni sanitarie e il personale non sanitario e di front-office.  

Non va meglio nel resto d'Italia

Se volgiamo lo sguardo oltre il nostro territorio la situazione non va meglio. Lo mostrano ad esempio l’analisi della FNOPI (Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche) effettuata su un campione di iscritti all’Albo per la rilevazione avviata dall’Osservatorio nazionale sulla sicurezza dei professionisti e presentata oggi al Ministero della Salute. 

Nel campione che ha partecipato alla survey, gli infermieri che hanno dichiarato aggressioni durante l’anno appena trascorso sono il 40,2%: dato in aumento rispetto allo scenario emerso dall’analisi svolta dalla Federazione in occasione dello studio CEASE-IT del 2021-2022, quando le otto università che hanno analizzato la situazione avevano rilevato un 32,3% di infermieri aggrediti.

I numeri appaiono molto più alti rispetto ai casi denunciati all’INAIL (che rileva solo i casi in cui interviene l’azione assicurativa e che comunque sottolinea un’incidenza delle violenze del 33% circa sugli infermieri) e a quelli evidenziati dalle Regioni. Gli infermieri, infatti, spesso non denunciano o evidenziano i casi di violenza. Come già rilevato dalla FNOPI, chi non l’ha fatto si è comportato così perché, nel 67% dei casi, ha ritenuto che le condizioni dell’assistito e/o del suo accompagnatore fossero causa dell’episodio di violenza, nel 20% era convinto che tanto non avrebbe ricevuto nessuna risposta da parte dell’organizzazione in cui lavora, il 19% riteneva che il rischio sia una caratteristica attesa/accettata del lavoro e il 14% non lo ha fatto perché si sente in grado di gestire efficacemente questi episodi, senza doverli riferire.

Il dato rilevante emerso dalla survey sul 2023 è il numero delle violenze (verbali o fisiche) che gli infermieri aggrediti hanno dichiarato: la media è di oltre 10-12 ciascuno nel corso di un anno solare, con le dovute differenze legate soprattutto al territorio e al reparto dove il professionista svolge la sua attività: il 44% ha subito da 4 a 10 aggressioni, il 55% da 11 a 20 e l’1% oltre 20 aggressioni in un anno.

Le violenze fisiche sono ormai all’ordine del giorno delle cronache, con episodi gravi, ma anche i casi di violenza verbale, come sottolineato dalla FNOPI, hanno risvolti negativi sui professionisti: la conseguenza professionale prevalente riguarda il “morale ridotto” (41%) e “stress, esaurimento emotivo, burnout” (33%), che secondo lo studio BENE, presentato a dicembre 2023 dalla Federazione, mette a rischio la qualità delle cure e la sicurezza dei pazienti e genera nei professionisti spesso (45,2% dei casi) la volontà di abbandonare il posto di lavoro.

Per quanto riguarda l’identità degli aggressori, nella grande maggioranza sono gli stessi utenti o pazienti (79%), mentre nei restanti casi si tratta di parenti, caregiver, conoscenti o estranei. I luoghi in cui gli episodi si sono manifestati maggiormente sono le aree di degenza (27,2%), i Pronto Soccorso (26,1%), i reparti psichiatrici (12,6%), e gli ambulatori (9,7%).  

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