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Vino e consumo ristorazione: vendite salgono, ma per aziende è ancora dura

"I numeri pre-pandemia sono ancora lontani, e i rincari sulla spesa degli italiani si ripercuotono sul mercato del vino, penalizzando i prodotti di fascia medio-alta"

Comincia la lenta risalita delle aziende del vino non presenti sugli scaffali dei supermercati, che in Emilia-Romagna sono circa 20mila, con una produzione annua che non va oltre le 200mila bottiglie, per lo più commercializzate nei ristoranti, wine bar ed enoteche.

A dirlo è Confagricoltura Emilia Romagna, che stima anche "un aumento delle vendite intorno al 35-40% rispetto al terzo trimestre dello scorso anno, che è stato disastroso per il canale Horeca". Commentando queste previsioni, il presidente regionale dell'associazione, Marcello Bonvicini, afferma che "l'incertezza delle prospettive rischia di minare ancora una volta la ripresa. Bisogna scongiurare- chiosa- chiusure generalizzate in vista del Natale, che sarebbero un disastro per le aziende legate a doppio filo a chi somministra pasti e bevande".

Nel complesso, il 2020 ha visto andare bene "solo il consumo di vini e spumanti tra le mura di casa (+8% su base annua), in gran parte acquistati al banco della grande distribuzione".

La ripresa delle vendite nel canale Horeca comunque c'è, dice con cauto ottimismo Mirco Gianaroli, presidente della sezione viticola di Confagricoltura Emilia-Romagna, ma "i numeri pre-pandemia sono ancora lontani, e i rincari sulla spesa degli italiani si ripercuotono sul mercato del vino, penalizzando i prodotti di fascia medio-alta". E per aiutare le aziende a rilanciarsi, dichiara Gianaroli, "è necessario cogliere le tendenze dei consumatori nel post emergenza: la loro voglia di uscire e di partecipare a fiere, eventi e degustazioni aziendali". 

In questo periodo, però, non sorridono nemmeno le aziende del vino che utilizzano principalmente i canali di vendita della grande distribuzione. Questo perché, spiega Confagricoltura, "di fatto la Gdo non riconosce all'imprenditore la crescita esponenziale dei costi di produzione avvenuta negli ultimi mesi, mantenendo bloccati i prezzi all'origine".

In questo modo, spiega Gianaroli, "l'onere ricade esclusivamente sull'azienda vitivinicola, che ci rimette in media dal 10 al 15%. Una situazione insostenibile, destinata ad aggravarsi soprattutto per l'effetto a valanga della crisi energetica". Nel dettaglio, "il vino sfuso da imbottigliare, dai vitigni a bacca bianca e rossa dei Colli Piacentini e Parmensi al Sangiovese e Trebbiano di Romagna, ha registrato mediamente un incremento della domanda pari al 10-15% con punte del 25% per il Lambrusco modenese e reggiano, vitigno che spicca per il rimbalzo dei prezzi (+30%) dovuto alla bassa produzione annuale".

L'impennata dei costi di produzione, fa poi sapere l'associazione, "spinge addirittura gli importatori a modificare le modalità di spedizione dall'Italia, al punto da preferire il prodotto trasportato in cisterne stradali o tank container per poi imbottigliarlo in loco". Infine, la domanda estera di vino sfuso "è aumentata, complice il calo produttivo molto accentuato negli altri paesi europei (oltre -25% in Francia), ma ora l'incubo quarta ondata e la fiammata dei prezzi stanno rallentando gli scambi commerciali". (Ama/ Dire)

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