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Dentro i circoli di autocoscienza, dove sono gli uomini a parlare di violenza di genere

La violenza verso le donne rimane una piaga di questo Paese, e il 2023 ne è stato la prova. Ma sono sempre più i percorsi per gli uomini che scelgono di cambiare se stessi

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Nel 2023 si è parlato tanto di violenza di genere, anche a causa della tragedia che ha colpito Giulia Cecchettin, studentessa 22enne uccisa dal suo ex fidanzato Filippo Turetta. A Bologna e in tante altre città italiane ci sono state manifestazioni molto partecipate per protestare contro un sistema patriarcale in cui le disuguaglianze e la violenza di genere rimangono un fattore strutturale. Le manifestazioni saranno tante e sentite anche l'8 marzo, per cui sono in programma diverse iniziative.

Cultura patriarcale

Quando si parla di diritti e parità di genere – attraversando un corteo o approfondendo la letteratura di genere – uno dei temi più citati, specialmente nell'ultimo periodo, è quello della cultura patriarcale. Si parla di patriarcato per indicare un sistema in cui gli uomini, direttamente o indirettamente, detengono un potere di autorità e di privilegio rispetto alle donne. La figura dell’uomo alfa è al centro della critica da parte dei movimenti femministi: un ostacolo, di fatto, alla propria autodeterminazione. Ma non sono solo le donne a vederla in questo modo.

Uomini maltrattanti: e poi?

A Bologna, ad esempio, esistono due realtà che si fanno carico di uomini maltrattanti. Si tratta di servizi che possono essere sia di gestione pubblica che privata, e sono volti “a far acquisire loro la consapevolezza che la violenza va affrontata con un sostegno adeguato”, come si legge sul sito della Città Metropolitana. Uno di questi servizi, il Centro per uomini autori di violenza domestica e di genere è gestito da Senza Violenza, un’associazione che lo scorso dicembre ha firmato un protocollo con Casa delle Donne, Comune di Bologna e Asp Città di Bologna per creare “una linea di azioni rivolte agli uomini che usano violenza contro le donne, lo considera oggi, anche grazie al rafforzamento conferito a questa prospettiva da numerose direttive internazionali, nazionali e regionali, un elemento imprescindibile per combattere la violenza. L’esercizio della violenza è un problema maschile; occorre pertanto parlare di “uomini che usano violenza” facendo chiarezza su quale sia il soggetto a cui compete la responsabilità dei comportamenti violenti e del loro cambiamento”, come scrive l’associazione sul proprio sito.

Parlare di uomini con gli uomini

Oltre alla teoria è però necessaria la pratica. Al fianco dei centri per il trattamento di uomini maltrattanti, è sempre più frequente che siano gli uomini stessi ad auto organizzare dei circoli informali in cui poter parlare di sé, del modo di rapportarsi con le altre persone e, più in generale, di come superare gli stereotipi della mascolinità. Se infatti la riflessione sul ruolo della donna all’interno della società è viva e attiva fin dagli anni Settanta, la figura dell’uomo è sempre rimasta bidimensionale, appiattita sulle convenzioni dell’uomo forte e virile. Le prime pratiche di questo tipo, come scrive la giornalista Alice Facchini in un articolo del 2022 sulla rivista L’Essenziale, risalgono agli anni Novanta: è il caso del circolo Gnam (Gruppo nonviolento di autocoscienza maschile) di Milano, ma sono diversi i gruppi informali che si sono formati spontaneamente su tutto il territorio italiano.

Circoli di autocoscienza, il racconto di Silvio

Uno di questi è attivo sull’Appennino bolognese ed è nato lo scorso autunno su impulso di un gruppo di residenti. Tra loro c’è Silvio, un ragazzo che da poco è tornato a vivere in Italia dopo alcuni anni passati in Spagna, a Barcellona. Proprio lì ha conosciuto la pratica del ‘cerchio degli uomini’ che ha deciso di portare sull’Appennino. Durante la telefonata, come prima cosa Silvio parla della sua esigenza di intraprendere questo tipo di percorso a livello personale: “Mi sono reso conto che non riuscivo a vedere bene alcuni lati del mio carattere che non facevano stare bene me e le persone che avevo attorno. Venivo da un periodo negativo, direi di crisi personale, e sono venuto a conoscenza di un gruppo terapeutico di uomini a Barcellona, dove allora vivevo”. Parlando, Silvio usa termini come autoriflessione, analisi, cambiamento. “Ho cercato di essere migliore – continua – e in questo senso il femminismo ci dà degli strumenti per farlo. Quindi ho deciso di portare questa esperienza in Italia, sull’Appennino bolognese, dove oggi vivo. Anche qui si parla di femminismo, di autodeterminazione, di patriarcato. Ma ne parlano le donne, e lo fanno da tempo. Noi no. Ma anche noi abbiamo bisogno di guardare all’uomo del futuro, un uomo non violento, cosciente del proprio corpo, del proprio ruolo nel mondo. Anche noi abbiamo questa necessità”.

Rompere i tabù

E come funzionano le vostre riunioni? “Essendo una prima volta per molti, abbiamo deciso di strutturare il cerchio in quattro incontri. Nell’ultimo, ad esempio, abbiamo parlato di intimità e di sessualità. Abbiamo riflettuto sui modelli che la società ci impone nel vivere la nostra intimità. Il sesso, se sei uomo, è visto come una performance. Dobbiamo essere uomini forti, assetati di sesso, dobbiamo dare importanza alla penetrazione e cose così. Noi invece abbiamo cercato di rifletterci su, cercando di capire quanti di questi modelli sono diventati ‘nostri’ e quanti ne riproduciamo quando siamo in intimità”. 

Un modo, quindi, per rompere qualche tabù anche tra gli uomini: “Mi sono accorto – continua Silvio – che molte delle insicurezze che avevo, e che magari cercavo di mascherare, sono parte anche degli altri uomini. In questa cultura, in cui siamo portati ad essere dei maschi dominanti, le nostre insicurezze vengono nascoste. Invece, il bello del gruppo di uomini è che le tue insicurezze sono le stesse degli altri. In questo modo le nascondi meno, ti senti meno solo e hai la forza di affrontarle. Ma abbiamo parlato davvero di tante cose: di conflitto, di consenso, del rapporto con l’altro sesso. In questo – conclude Silvio – il femminismo non riguarda solo le donne, anzi, riguarda moltissimo anche gli uomini. In quanto pratica universale, riguarda tutte le individualità. Secondo me, con un percorso come questo abbiamo solo da guadagnare. Imparare a capire noi stessi e l’altra persona è fondamentale per stabilire connessioni più significative e stare meglio con noi stessi e con gli altri”.

Qualche numero sulla violenza di genere

Gli episodi di violenza di genere sono all’ordine del giorno: se in Italia i femminicidi, nel 2023, sono stati quasi uno ogni due giorni – anche se sul numero esatto non c’è assoluta concordanza di pareri – i fatti che riguardano la volenza di genere sono migliaia e attraversano le cronache dei quotidiani su base giornaliera. Tra questi, circa nove su dieci sono da parte di uomini che hanno un rapporto intimo, familiare o di conoscenza con le donne offese.

A Bologna, nel 2023, le denunce per maltrattamenti sono aumentate, con picchi del 36% rispetto al 2022. "L'incremento delle donne che sporgono denuncia aumenta con una certa costanza, almeno negli ultimi dieci anni: nel 2012 era il 17%, nel 2016 il 22,5%, nel 2017 il 27,3%, nel 2019 il 29% e nel 2021 il 33,4% - ha detto Giulia Nanni, socia e operatrice antiviolenza presso la Casa delle donne per non subire violenza di Bologna –. Ma in Italia la percentuale resta molto bassa e l'Istat la dà solo all'11,8%. La chiave di lettura è che l'aumento delle denunce non necessariamente corrisponde a un aumento della violenza, ma anche del sommerso. Certamente il Codice rosso ha dato un contributo importante, perché adesso c’è una legge che lascia meno discrezionalità d'intervento. Denunciare è importante, ma bisogna fare attenzione alla retorica della denuncia come unica soluzione, perché se poi le donne tornano a casa, con l'autore della violenza, sono esposte a maggiori rischi”.

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