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Aprile bollente per Bologna: la mappa degli spazi occupati in città | MAPPA

Dalle emergenze abitative fino alle rivendicazioni dei movimenti LGBTQ+ e ambientalisti: i collettivi reclamano spazi, l’amministrazione frena. Ma da anni ormai le occupazioni sono tornate a far rumore

Quattro occupazioni in meno di un mese: è questo il bilancio di aprile per quanto riguarda l’attività dei movimenti bolognesi. Dalle occupazioni abitative alle rivendicazioni dei movimenti LGBTQ+ e ambientalisti, i collettivi chiedono risposte immediate alle loro esigenze. Prima fra tutte, l’emergenza abitativa.

Raimondi e Borgolocchi

Sono due gli stabili occupati per dare una casa a chi non ce l’ha. Si tratta di Radical Housing Project, ad opera del collettivo di area autonoma PLAT, e di H.O.ME., occupazione nata su iniziativa di LUnA (Laboratorio Universitario di Autogestione) e del sindacato ADL Cobas. 

Radical Housing Project si trova in via Marc’Antonio Raimondi 41, in zona Bolognina, e occupa uno stabile di proprietà di Asp. Al momento, l’immobile ospita diciotto nuclei familiari per un totale di quasi ottanta persone, tra cui trentatré bambini e una donna incinta di oltre otto mesi. “Questa nuova soluzione abitativa – scrivevano gli attivisti in una nota – che iniziamo a mettere in pratica si muove in questo contesto e vuole essere solo un primo passaggio tra tanti per costruire una grande lotta sociale sull’abitare. Contro il governo Meloni e le sue politiche, contro l’idea di una Bologna governata grazie al modello-Piantedosi per quanto riguarda le istanze sociali, da oggi mettiamo in campo una nuova idea di abitare la città. Radical Housing in via Raimondi è un condominio sociale creato da una cooperativa di abitanti, un esperimento di commoning che si adopera per l’auto-recupero senza costi per la collettività di un edificio di proprietà pubblica dismesso da anni, una casa per l’emergenza abitativa. Molte di noi sono lavoratrici e lavoratori, altre persone sono precarie, altre disoccupate, e nel costruire nuove forme abitative mettiamo al centro anche il tema del reddito e del lavoro, perché le due cose – si concludeva la nota – non possono essere separate”. Il condominio ha ricevuto, nei giorni scorsi, anche la visita del sindaco Lepore e di parte della Giunta comunale: “Ho voluto sincerarmi delle condizioni relative alle famiglie coinvolte” aveva detto Lepore, per poi sottolineare come “occupare un immobile non è mai la soluzione”.

Discorso simile per l’occupazione dell’ex Caserma Masini denominata H.O.ME.: si tratta dello stabile già sede del Làbas, sgomberato nel 2017 e da allora rimasto abbandonato. Anche questa è un’occupazione abitativa: “Vogliamo affermare il diritto alla casa di una composizione sociale sotto attacco e che vive una grande contraddizione  persone migranti, che lavorano a tempo determinato o indeterminato in diversi settori, con una base di reddito mensile a volte non bastevole a sostenere il costo esagerato di un affitto a Bologna, la seconda città più cara d’Italia, dettato da un meccanismo domanda-offerta in un mercato drogato dalla speculazione sulle locazioni brevi turistiche, dalla speculazione delle multinazionali dello student housing e da palazzinari inadempienti che affittano stanze fatiscenti, spesso e volentieri a soli italiani, chiedendo notevoli garanzie economiche" hanno scritto gli occupanti. Tra gli abitanti di H.O.ME. c’è anche Zakarya, un ragazzo marocchino costretto a vivere in strada nonostante un lavoro con contratto a tempo indeterminato.

Diritti LGBTQ+ e movimenti ambientalisti

Di diverso stampo le due occupazioni della Vivaia TFQ e quella No Passante. La prima sorge in via della Certosa al civico 35 e occupa un’area che prima accoglieva il vivaio Gabrielli. Abbandonato e in stato di degrado, gli e le occupanti della Vivaia hanno ridato vita ad un luogo che da oltre un decennio era lasciato a sé stesso. Questa nuova realtà nasce con l’intento di dare voce e spazio alle comunità LGBTQ+: “La Vivaia TFQ è uno spazio autorganizzato e autogestito esclusivamente da donne, frocie, persone queer transfemministe – scrivevano le attiviste in un post su Facebook –. Questa scelta nasce dal nostro bisogno e desiderio di costruire lo spazio per noi a partire da noi, uno spazio a cui tutte, tutt* e tutti potranno proporre attività o prenderne parte, tenendone presente i presupposti di base. Dare vita a uno spazio transfemminista queer non vuol dire essere persone già completamente liberate, ma rigettare i dettami del sistema eterocis e patriarcale partendo da noi e voler continuare a crescere in questa direzione”. Nella stessa nota viene espressa una forte diffidenza verso il sistema di assegnazione degli spazi da parte dell’amministrazione: “Le proposte offerte dal Comune prevedono un rigido controllo delle progettualità e una forte competizione per la cessione degli spazi, in una dinamica fortemente escludente. Come se non bastasse, questo processo dall'alto crea una forte ricattabilità tale per cui il Comune accede preventivamente al lavoro collettivo delle realtà che partecipano, le quali troppo spesso si devono poi sentir dire dallo stesso che i fondi stanziati non bastano”.
E ancora: “In questa retorica di "finta partecipazione" è ben facile scovare l'intento di sottrarre sempre più spazio di agibilità politica a tutt* coloro che desiderano un modello alternativo ed autentico di partecipazione dal basso, non competitivo, accessibile in tutti i sensi e che rispecchi davvero i bisogni di chi questa città la vive”.

C’è poi l’occupazione di via Agucchi, sorta sull’area di una ex concessionaria di auto e nata con l’intento di ostacolare i cantieri per il Passante di Mezzo. Lo stabile è infatti uno degli immobili espropriati dal Comune per permettere l’allargamento dell’autostrada. “Lo facciamo perché vogliamo impedire l'allargamento dell'autostrada - si legge in uno dei volantini all'ingresso dell'ex rimessa auto di via Agucchi 126 - per il quale sono stati già rasi al suolo interi terreni. Prima del disastro ecologico, dei cantieri e del profitto di Autostrade c'è qualcos'altro: la nostra voglia di stare insieme, di conoscere persone nuove (e di tutte le età), di vivere come vogliamo e non come ci costringono a fare”.

Occupazioni a breve termine

Tutte e quattro le occupazioni nascono con l’intento di rimanere, anche se il Comune ha fatto già sapere in maniera più o meno diretta che gli sgomberi arriveranno. Solo per la Vivaia si intravedono spiragli di dialogo, dopo che alcuni residenti del quartiere Porto-Saragozza hanno dato il via ad una petizione online per chiedere di annullare lo sgombero. 

C’è però da dire che era davvero tanto tempo che Bologna non viveva una stagione di fermento di questa portata. La città studentesca vivace e riottosa aveva subìto un duro colpo dagli sgomberi di Crash e Làbas del 2017 e di XM24 nel 2019, colpo ulteriormente indurito dalle restrizioni dovute alla pandemia da Covid-19. Inoltre, l’avvento di Fondazione Innovazione Urbana, dal 2016 in poi, ha reso più farraginosa la macchina burocratica per l’assegnazione di spazi, livellando verso l’alto le ‘gare’ e azzerando ogni tipo appropriazione di spazi che non fosse bandita dal Comune.

Sgombero Xm24, attivisti dentro e presidio fuori

Nel periodo post pandemia ci sono state diverse occupazioni – specialmente ad opera degli attivisti di area XM24 – ma mai durature. Prima il doppio tentativo all’ex Caserma Sani nel 2019 nel 2021, poi Bancarotta in via Fioravanti, l’ex Cesare Ragazzi in via Zago, quella temporanea di via Azzo Gardino e quella di via Stalingrado nel 2022, oltre a l’Acerchiata nel febbraio 2023. Ci sono poi state occupazioni di tipo abitativo come quella in via Zampieri nel 2021, poi sgomberata due giorni prima di Natale, quella di via Capo di Lucca, sempre nel 2021, lasciata volontariamente dagli occupanti, e quella di via Oberdan nell’ottobre del 2022, terminata con tensioni tra il CUA e le forze dell’ordine.

La protesta dei collettivi dopo lo sgombero di via Oberdan

Il claim condiviso da tutte queste esperienze è simile: pochi spazi di autodeterminazione, poche possibilità di svincolarsi dalle logiche di mercato e poche case per studenti e lavoratori precari. Il Comune ha sempre risposto con il pugno duro: se non si seguono le regole, arriva lo sgombero. E i presupposti per le attuali occupazioni non sembrano diversi.

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